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  • Una macchina a diesel col pieno di benzina: Acudo e la metafora della generazione bloccata

    «Scrollando il mondo da lontano, senza un vero scopo». C’è chi passa le giornate così: scrollando vite che non gli appartengono, rimandando tutto a domani, con la sensazione di essere fermo mentre il resto va avanti. È così che ci si sente quando si guarda la vita scorrere da uno schermo, senza parteciparvi davvero. Uno stato d’animo sempre più diffuso, lo specchio in cui si riflette una generazione intera, iperconnessa eppure scollegata da se stessa. Ed è da qui che parte “Fuori dal mondo” (Mendaki Publishing/Orangle Records), il nuovo singolo di Acudo: una canzone che racconta cosa succede quando ti perdi dentro i giorni, e ogni cosa intorno sembra andare avanti senza di te. E quella forza che, quando arriva, non ti chiede nulla: ti prende e ti rimette in piedi.

    L’artista senza volto, nato a Latina e cresciuto musicalmente tra le influenze di Subsonica, Linkin Park, Modà e Pinguini Tattici Nucleari, torna con un brano che non descrive soltanto la fatica di restare a galla, ma suggerisce, senza retorica, che un’alternativa è possibile, lasciando intravedere una via d’uscita. “Fuori dal mondo” attraversa il punto tra isolamento e salvezza, tra una quotidianità vissuta da osservatori esterni e il momento, inatteso, in cui qualcosa o qualcuno ci riporta con i piedi per terra.

    «Mi sentivo in pausa. Bloccato. Come se tutto scorresse troppo in fretta e io fossi rimasto indietro – racconta Acudo -. Questa canzone nasce da lì, da quel vuoto. Poi è arrivata una forza, non so bene cosa fosse, forse una persona, forse solo un momento giusto, ma mi ha svegliato. E mi ha ricordato che anche quando ti senti fuori dal mondo, puoi ancora rientrarci.»

    Il brano segue questo stesso movimento: parte piano, trattenuto, come chi non sa se ripartire o restare dov’è. Poi si apre. E lì cambia tutto. Il ritornello — «E poi arrivi tu che mi svegli dal sonno, forte come una gru, mi sollevi sul mondo» — è la fattura. Il momento che rompe il ritmo, che spezza l’equilibrio e rimette tutto in discussione. Un’immagine che non consola ma spinge. Qualcosa o qualcuno che irrompe e ti rimette in asse, quando meno te lo aspetti. Una visione dirompente che scuote il torpore e restituisce prospettiva.

    In un’epoca in cui, secondo i dati ISTAT, quasi un giovane su due in Italia si definisce spesso solo, “Fuori dal mondo” intercetta un’esperienza che molti riconosceranno, senza indulgere in facili consolazioni. Il protagonista del brano si rifugia dietro lo schermo del cellulare, osserva la vita degli altri senza parteciparvi, rinvia le decisioni, resta fermo al “primo step”, eppure, qualcosa cambia. Ed è in quel cambio di passo, in quella fessura di luce, che si gioca il senso del pezzo. Non quando tutto si risolve, ma quando si riapre lo spazio per ripartire.

    «Una macchina a diesel con il pieno di benzina», canta Acudo nel primo verso, raccontando con amara ironia la dissonanza tra ciò che siamo e ciò che il mondo ci chiede di essere. Una corsa continua che lascia indietro chi ha bisogno di tempo, di silenzio, di una tregua. Ma anche chi ha solo bisogno di qualcuno che lo guardi davvero.

    Con “Fuori dal mondo”, Acudo prosegue la direzione intrapresa con “TRS”, mantenendo la scelta radicale dell’anonimato. Nessun volto, nessuna identità pubblica. Solo musica e parole. Una decisione controcorrente, che oggi appare quasi politica, in un panorama musicale dominato dall’immagine e dalla sovraesposizione. Ma è proprio questa sottrazione a renderlo riconoscibile: una voce che non ha bisogno di apparire per farsi sentire.

    “Fuori dal mondo” è un richiamo sottile ma impossibile da ignorare a non abituarsi alla disconnessione da se stessi e dagli altri. A cercare, anche nei giorni più spenti, quella forza che ci solleva. A credere che, anche quando tutto sembra sospeso, qualcosa o qualcuno può ancora catapultarci nella vita vera.

  • Contro ansia, isolamento e sovraesposizione: Rames risponde con il rap

    «Penso al positivo, mi sento anche più attivo, mentre il mondo intanto è spento come un dispositivo». È da questa strofa, che suona come una piccola ribellione, che prende forma “Positivo”, il nuovo singolo di Rames, artista torinese classe ’86 che ha fatto del rap uno strumento di riscatto personale e sociale. Un brano, ma soprattutto un’idea chiara: in un mondo afflitto da sfiducia, ansia e disillusione, la scelta di pensare positivo può diventare un atto rivoluzionario.

    “Positivo” è un invito a riconsiderare il modo in cui ci rapportiamo alla vita, ai sogni, alle difficoltà quotidiane. Un progetto musicale ma anche culturale, un richiamo a riappropriarsi del tempo, della creatività, della capacità di sognare. Un brano che non indulge nella retorica, ma che incide con precisione chirurgica su un contesto saturo di negatività digitale, alienazione e disillusione.

    Rames non si limita a raccontare i tempi che corrono, ma costruisce un’alternativa. Il suo è un messaggio limpido, diretto, che parla soprattutto alle nuove generazioni, spesso intrappolate in una realtà iperconnessa ma svuotata di senso. Perché pensare positivo non è un vezzo da slogan motivazionale, ma un atto radicale, una scelta che può cambiare le prospettive individuali e collettive. Un cambio di passo che il rapper propone con coerenza, dopo anni di pausa e una carriera musicale che ha sempre mantenuto una forte attenzione al contesto sociale.

    Nel testo, lo sguardo dell’artista si posa su una società disattenta e frenetica: «qua tutto nuoce, tutto è veloce», scrive, sottolineando l’affanno quotidiano, l’incomunicabilità e l’inquietudine latente di una generazione in cerca di senso. Ma poi sposta il baricentro, offrendo un’opzione possibile, una via percorribile che si nutre di creatività, di fiducia, di attivazione personale. Una visione che si contrappone alla passività indotta dallo scrolling compulsivo e dalla sovraesposizione ai social, restituendo centralità all’immaginazione e alla volontà di agire.

    Il disagio contemporaneo viene radiografato in pochi versi, evidenziando come il pensiero critico ceda spesso alla distrazione costante. Ma è proprio da questa consapevolezza che nasce la proposta artistica di Rames: spegnere per riaccendere. Spegnere il flusso negativo e accendere l’energia creativa. Un’inversione di rotta che si fa pratica quotidiana e, auspicabilmente, contagiosa.

    «Con questo brano voglio proporre un cambio di rotta rispetto al clima di apatia che ci circonda – racconta Rames -. Sento che pensare positivo è un atto rivoluzionario, perché ci aiuta a non mollare, a progettare, a costruire qualcosa anche quando il contesto sembra dirci il contrario.»

    Il tema della canzone trova riscontro diretto nei dati attuali. Secondo l’ultimo report UNICEF Italia, 1 adolescente su 3 si sente inadeguato o solo a causa del confronto continuo con modelli irraggiungibili imposti dai social. È un malessere che si manifesta in forme silenziose ma pervasive: isolamento, ansia, perdita di motivazione. In questo scenario, un brano come “Positivo” si pone come risposta educativa e culturale, potenzialmente replicabile nelle scuole, nelle carceri minorili, nei centri giovanili, ovunque serva riaccendere la fiducia.

    Non un inno all’ottimismo facile, ma una chiamata ad alzare lo sguardo, ricalibrare la rotta, scegliere la presenza anziché la distrazione. Un messaggio che nasce da un vissuto reale, trasformato in parola, suono e presenza.

    «Mi sento vivo quando scrivo e condivido la mia visione del mondo – aggiunge l’artista -. La musica mi ha salvato, mi ha dato una direzione, mi ha aiutato a restare in piedi anche nei momenti più complicati. Se qualcuno ascoltandomi trova la forza di credere in se stesso, allora tutto questo ha davvero senso.»

    Dopo una lunga pausa di dieci anni, Rames è tornato sulle scene nel 2022 con l’album “Playrames Deluxe”, seguito dai singoli “Non Darti Mai uno Stop – Remix”, “Un Giorno Come un Altro” e “Non Avere Paura”. Un percorso coerente, fatto di passi silenziosi ma solidi, che oggi culmina in un progetto maturo, capace di unire parola e azione. Il suo rap si distacca dai cliché di genere per costruire una narrazione alternativa, dove la forza non è ostentazione, ma consapevolezza. Dove la positività non è leggerezza, ma resistenza. E così, in un’epoca in cui spesso “dire qualcosa” sembra meno importante del “farlo sembrare”, “Positivo” si impone per quello che è: un invito a rimettersi in cammino. A immaginare. A ricominciare.

    Rames non propone solo una canzone, ma un’intera filosofia di vita, in cui la musica diventa linguaggio di attivazione. Il rap, spesso associato a narrazioni tese e conflittuali, qui inverte il suo asse, senza perdere forza comunicativa, per diventare veicolo di nuova energia. Lo dimostrano le sue barre, precise, taglienti, capaci di sintetizzare il paradosso contemporaneo in nitide immagini: «ma questo nuovo tratto a me mi ha già distratto e mi ha portato indietro tutto quello che ho contratto».

    Il punto di forza di “Positivo” è la sua semplicità solo apparente: un messaggio chiaro, una spinta all’azione, un invito a riprendersi la responsabilità di scegliere. Un brano che parla ai giovani, ma non solo, e che può diventare l’inizio di una nuova forma di attivismo musicale.

    E in un mondo che è “spento come un dispositivo”, un mondo che ha perso la connessione con se stesso, Rames ci ricorda che ritrovarla è possibile: basta un gesto semplice quanto rivoluzionario – cambiare prospettiva, anche solo per un attimo. Perché decidere quando riaccenderlo, in fondo, spetta a noi.

  • Un défilé per la solidarietà: l’alta moda al Fashion Roses Imperial Show

    Doppio appuntamento da non perdere a Milano, martedì 6 Maggio 2025 presso la Società Umanitaria in via San Barnaba 48.

    “FASHION ROSES IMPERIAL SHOW”

    Il primo, con inizio dalle ore 12, organizzato da Larissa Yudina, soprano di fama internazionale, fondatore e presidente dell’associazione “Stravinsky Russkie Motivi”, propone sfilate di moda dal titolo “Fashion Roses Imperial Show” (che vanta il patrocinio del Municipio 1 del Comune di Milano, dell’associazione culturale Armonia e Tota Pulchra), cui seguirà cui seguirà un cocktail party, l’intermezzo musicale con i finalisti del concorso canoro “Giovani cantanti d’Italia” (con partecipanti dai 7 ai 20 anni) e il dj-set di Principe Leone. Coordinatore Maurizio Nicchi, presentatrice Vicky Princess, sosia ed imitatrice di Belen Rodriguez. In passerella gli abiti dello stilista brasiliano Antonio Oliver e défilé di alta gioielleria di Scavia.
    Per info e prenotazioni basta contattare i recapiti 338-5624180 oppure 391-7375595, mail stravinskyrusskiemotivi@gmail.com.

    “GRAN BALLO IMPERIALE”

    Dalle ore 19, invece, sempre con l’organizzazione dall’associazione “Stravinsky Russkie Motivi”, fondata e presieduta dal soprano Larissa Yudina, i riflettori sono puntati sul “Gran Ballo Imperiale”. Un evento sarà dedicata alla Pace e alla solidarietà tra i popoli. L’intento è di creare una giornata all’insegna della fratellanza, dell’arte e della cultura, delle tradizioni e dell’identità nel territorio: questo è lo spirito con il quale creare sinergie positive.

    Protagonisti dello spettacolo musicale, con la voce narrante che introduce i partecipanti e il pubblico nell’atmosfera che ha visto protagoniste due importanti figure del primo Novecento italiano, entrambe di grande valenza cultura per Milano: Eleonora Duse e Sergej Djagilev, grande impresario teatrale dei balletti russi. Eleonora Duse, della quale si è iniziato a celebrare il centenario della morte nel 2024, è una figura importante per Milano, dove si è svolta parte della sua vita personale e professionale, peraltro legata da un filo sottile ma significativo a Gabriele D’Annunzio, a sua volta grande estimatore dei “Balletts Russes” di Sergej Djagilev. Quest’ultimo, impresario teatrale geniale ed innovativo che ha fatto dei “Balletts Russes” una sintesi perfetta tra danza, musica e pittura, concluse la sua ultima tournée proprio al teatro Alla Scala di Milano, grazie alla contaminazione tra le cultura russa e le sperimentazioni artistiche delle avanguardie europee degli Anni Venti.

    «Con questo evento – spiegano l’organizzatrice, la soprano Larissa Yudina – la nostra associazione vuole celebrare tali geniali e visionari innovatori delle arti per aver favorito l’incontro tra diverse forme artistiche ed averne cercato una sintesi. Promuovo la musica classica dei grandi compositori russi, italiani ed internazionali, creo le sinergie tra diverse forme d’arte promuovo la collaborazione, l’amicizia tra le culture diverse nel mondo. Sostengo i giovani talenti e li aiuto ad approfondire lo studio musicale. Inoltre è consolidato il nostro impegno nella beneficenza e la collaborazione con le seguenti associazioni dal 2020 Ariel, Irma Meda, Beteavòn, City Angels, tutto nel nome della pace, della musica e della cultura. Tutto questo perché unisce le persone con il cuore».

    GLI ARTISTI

    Larissa Yudina, soprano; artisti del balletto; Quartetto d’archi “Stravinsky Russkie Motivi” composto da Xhiliola Kraja (1° violino), Tatyana Fedevych (2° violino), Gianfranco Messina (viola), Alessandro Ziumbrosky (violoncello). Voce narrante Stefania Romito (scrittrice); ospite Giuseppe Barletta (sassofono); dj-set a cura di Francesco Pedone.

    IL PROGRAMMA MUSICALE

    Pas de deux (Piotr Ilic Tchaikovsky); Danza dell’uccello di fuoco (Igor Fedorovic Stravinskij); artisti del balletto; quartetto d’archi
    Paolo, datemi pace (Gabriele D’Annunzio, a cura di Francesca da Rimini)
    attrice in veste di Eleonora Duse
    Interpretazione lirica di un brano dell’omonima opera di Riccardo Zandonai
    soprano e quartetto d’archi
    Artista del balletto in veste di Isadora Duncan, grande amica di Eleonora Duse
    Givelle – atto 1 variazioni (Adolphe Charles Adam)
    artista del balletto e quartetto d’archi
    Petrushka (Igor Fedorovic Stravinskij)
    artista del balletto e quartetto d’archi
    A vucchella (Gabriele D’Annunzio), musica di Francesco Paolo Tosti
    soprano e quartetto d’archi
    Notte bianca (Gabriele D’Annunzio), musica di Francesco Paolo Tosti
    soprano e quartetto d’archi
    Il bacio (Luigi Arditi),
    soprano e quartetto d’archi
    Polonaise (Piotr Ilic Tchaikovsky) dall’opera Eugenio Onegni

    ASSOCIAZIONE “CITY ANGELS”

    Madrina della serata, e dell’associazione “City Angels”, è Daniela Javarone, presidente dell’associazione “Amici della Lirica”. Si tratta di una giornata interamente dedicata a cultura, musica, eleganza, beneficenza, collaborazione ed amicizia. La serata si concluderà con la lotteria di beneficenza il cui ricavato sarà donato all’associazione “City Angels”.

    OPERE ESPOSTE DI IMPORTANTI ARTISTI

    Nel corso dell’evento saranno esposte opere dello scultore Lucia Albertini, architetto ed artista che realizza sculture e dipinti. Le sue opere in equilibrio tra presente e passato interpretano la bellezza della figura umana in chiave contemporanea attraverso una visione classica. Non mancherà la presenza del pittore Andrea Leonardi con opere realizzate in acrilico e plexiglass e la pop art di Svetlana Nicolik.

    PARTNER DELL’EVENTO

    L’evento è organizzato in collaborazione con i partner Comune di Milano Municipio 1 (Patrocinio gratuito); Pasticceria artigianale “Chicchi D’autore”; Studio legale “Sutti”; Ristorante “Veranda”; Cantina “Caleffi”; Pellicceria “Emmegi”; Compagnia di danze russe e di carattere “Russiyana”; Istituto di formazione professionale “Club Beaute”; Azienda Agricola “Crosio”; Macelleria gastronomia catering “Specialità gastronomiche”; Azienda “VG Illumina”; A.DI.MA.SRL (Trade mark “Inarredo”); B-For-D SRL (Trade mark “Lud^An); Gioielleria “Scavia”; Azienda “Pure”.

  • Non è una canzone da skip, è una canzone che resta: “Pupille d’alabastro” di Spectrum Vates

    C’è qualcosa di controtempo, quasi ostinato, nella scrittura di Spectrum Vates. Fin dal primo singolo “Prosopagnosia”, passando per l’album d’esordio “EsseVu” e la dichiarazione d’identità “Non sono Lucio Battisti”, il rapper aretino ha costruito un percorso fuori dai meccanismi dell’hype, scegliendo parole e sonorità che non si consumano in 15 secondi ma restano oltre e fuori dal tempo. Con il nuovo singolo “Pupille d’alabastro” (PaKo Music Records/Believe), quella direzione si fa ancora più chiara: un brano che racconta l’amore come scelta quotidiana, non come scintilla da esposizione.

    In un panorama in cui il rap è sempre più spesso packaging – hit pensate per l’algoritmo, strofe adattate ai trend – Spectrum Vates fa una scelta di campo netta: scrivere come se ogni verso fosse destinato a durare. Non inseguire il momento, ma costruire senso. E in un’epoca in cui l’identità è sempre più un contenuto da distribuire, non un linguaggio da curare, Spectrum Vates sembra voler riportare il rap alla sua radice: una forma di espressione prima che una performance. Mentre il mercato musicale si piega sempre più spesso alle logiche dei reel, della viralità istantanea e delle strofe da una manciata di secondi, Spectrum Vates continua a scrivere pensando a chi resta. Non a chi scorre.

    Classe 1999, toscano, pochi filtri e nessuna scorciatoia, Spectrum Vates – all’anagrafe Giacomo Cassarà – ha scelto di stare dalla parte delle parole. Non come ornamento, ma come necessità. “Pupille d’alabastro” è l’ennesima prova di un percorso che punta alla sostanza e scarta l’effetto speciale. Dopo anni trascorsi nello sport agonistico, sceglie di fermarsi. E di scrivere. Prima la raccolta di poesie Spectrum Interior, nel 2022. Poi le prime pubblicazioni rap, indipendenti, essenziali, senza filtro. È lì che prende forma la sua voce: un “conscious emotional rap” come ama definirlo, che non insegue formule, ma cerca una vera e propria connessione, un punto di incontro con chi ascolta. Scrive come se stesse cercando qualcosa. O forse come se volesse proteggere ciò che ha trovato. Il resto lo racconta con un tatuaggio, inciso sul braccio e sulla pelle delle sue canzoni: Caduto in un quadro di sogni sospinto. Coraggio è il colore con cui l’ho dipinto.

    E dentro “Pupille d’alabastro” tutto questo ritorna: l’attenzione alla parola, la fedeltà a se stessi, lo sguardo che sa fermarsi prima di parlare. «Noi siamo due cuori rotti al centro e poi aggiustati, giochiamo a far la guerra senza armi e carri armati»: in una scena affollata da cliché, questa è una linea che ha il coraggio di restare sospesa. Una dichiarazione di umanità che fa della fragilità un linguaggio. E della poesia, un luogo.

    Il brano si apre su un’immagine precisa: una giornata di sole, Perugia gremita, uno sguardo che si incrocia tra la folla. Da quel momento – raccontato come un piccolo cortocircuito emotivo – si snoda una narrazione fatta di gesti e convivenza quotidiana. L’amore non è idealizzato, ma reso possibile giorno dopo giorno. Un sentimento che cresce nei vuoti e nei dettagli, nella routine e nella cura. «Mi sveglio al mattino e t’osservo dormire, sdraiata lì, accanto al mio corpo indifesa»: non è romanticismo di maniera, ma adesione alla realtà di un legame che evolve senza bisogno di proclami.

    Il titolo, “Pupille d’alabastro” suggerisce uno sguardo che non si dimentica, che resta impresso anche quando si chiudono gli occhi: l’alabastro richiama e sintetizza delicatezza e resistenza, luce e opacità, diventando la metafora perfetta di un amore che non ha bisogno di esibirsi per durare.

    L’equilibrio tra scrittura e suono è evidente e calibrato: il piano di Diego Fabbri accompagna senza mai invadere, lasciando al testo il ruolo centrale. Il mix e il master, curati da Atomic, sottolineano questa scelta estetica, rendendo ogni parola nitida, respirata, misurata. È un lavoro che si muove con discrezione, ma con una direzione chiara.

    «Ho sempre pensato che certi incontri siano come collisioni tra galassie lontane. Non puoi prevederli, ma quando succedono, cambiano la traiettoria di tutto – racconta Spectrum Vates -. Questo brano non è nato per spiegare l’amore, ma per restituirne il peso. Quel silenzio che si crea quando due sguardi si incastrano per la prima volta, e tutto il resto sfuma.»

    Ancora una volta, Spectrum Vates dimostra che si può fare rap senza inseguire mode, e che si può parlare d’amore senza cadere nella retorica. Scrive come se stesse parlando solo a chi ascolta davvero. E in una società in cui la velocità è la regola, scegliere la lentezza diventa un atto radicale.

    Ma non è solo una questione di stile musicale. In “Pupille d’alabastro”, come nell’intero universo di Spectrum Vates, il tempo non è mai un sottofondo: è materia viva, tema implicito, compagno narrativo. C’è un’idea precisa dietro ogni strofa: che le parole abbiano bisogno di tempo per sedimentare. Che il rap possa ancora permettersi di rallentare. Non è un caso che ogni verso sembri scolpito, incasellato con cura, come se scrivere fosse un atto artigianale, e non un processo da automatizzare. Ogni pausa, ogni attesa nel brano, è parte del significato. Non c’è urgenza di riempire, ma esigenza di dire.

    Anche per questo motivo, “Pupille d’alabastro” non è un singolo che punta al picco, ma alla traccia. Non cerca la viralità: cerca chi ascolta. Non si chiede “quanto suonerà?”, ma “quanto resterà?”. E in questo restare c’è tutta la forza del progetto: uno sguardo fermo in un mondo che scorre veloce, troppo veloce. Una voce che non si impone, ma si fa ascoltare. Un nome che, senza alzare la voce, sta trovando il suo posto. Con coerenza, delicatezza e determinazione. In un sistema che premia la rapidità, la sua lentezza è un gesto quasi politico. In un panorama dove il tempo è rumore, la sua musica sceglie il silenzio. E lo rende necessario.

  • Contro la dittatura dello skip, per la libertà espressiva: nasce “BoicottIAmo lo Streaming”

    Nel cuore dell’hinterland napoletano, in una città che ha sempre fatto della musica una forma di resistenza culturale e sociale, sabato 10 maggio prenderà vita il primo evento italiano che mette in discussione l’egemonia delle piattaforme di streaming. “BoicottIAmo lo Streaming” è un titolo provocatorio, ma anche un punto di rottura: ripensare il rapporto tra artista, pubblico e tecnologia, in un momento in cui i numeri contano più della sostanza e il valore creativo viene misurato a colpi di skip.

    Organizzato da Artisti Adesso, l’accademia fondata da Gabriele Aprile che ha già formato centinaia di cantanti, musicisti e creator in cerca di un modello sostenibile e indipendente, l’evento nasce come risposta concreta a un sistema musicale che sembra premiare più l’adattabilità agli algoritmi che l’identità e l’urgenza espressiva. Non un semplice talk, né un altro workshop su come “funzionare meglio su Spotify”: BoicottIAmo lo Streaming è un laboratorio esperienziale dove l’Intelligenza Artificiale diventa un alleato e non un nemico, e dove si torna a parlare di connessioni effettive, di creatività condivisa e di strategie a lungo termine.

    Dalle 15:30 fino a tarda sera, il CAM di Casoria (NA) ospiterà confronti, live performance e momenti di networking. Tra i relatori:

    – Gabriele Aprile, cantautore e digital strategist, con l’intervento “L’AI e il futuro della musica”

    – Ælba & Mel, duo indipendente impegnato nella costruzione di un nuovo modello di carriera musicale

    – Andrea De Luca, che presenterà il caso studio di un artista interamente generato con l’AI

    – Evrint Bless, esperto di strategie musicali alternative, con un panel su come ritrovare autonomia, uscendo dalle logiche penalizzanti delle piattaforme digitali

    Quattro voci diverse, unite da una visione: restituire agli artisti il controllo del proprio percorso.

    La giornata si concluderà con il live “Camera Indie”, uno showcase di talenti indipendenti che stanno costruendo il proprio pubblico al di là degli algoritmi.

    “BoicottIAmo lo Streaming” non è un invito all’isolamento, ma una spinta alla consapevolezza. Pubblicare musica senza una direzione, inseguire i trend e misurare il proprio valore in stream rischia di diventare una trappola che confonde le priorità. Una trappola difficile da riconoscere, e ancora più difficile da spezzare.

    L’Intelligenza Artificiale – spesso vista come un pericolo – sarà invece protagonista come alleato per sviluppare contenuti visivi, concept narrativi e asset promozionali capaci di attirare attenzione reale, non effimera.

    «Non è un boicottaggio delle piattaforme, ma del loro potere assoluto – spiega Gabriele Aprile -. L’obiettivo è ridare agli artisti la possibilità di scegliere, di sperimentare, di parlare a un pubblico vero senza piegarsi alle logiche dell’industria. La tecnologia ci ha tolto qualcosa, ma oggi può anche restituircelo.»

    Informazioni pratiche:

    📍 CAM | Casoria Contemporary Art Museum – Via Calore snc, Casoria (Napoli)
    🗓️ Sabato 10 maggio 2025 – Dalle 15:00 alle 23:00
    🎟️ Biglietti a partire da 47€, con opzioni avanzate per mentorship, produzioni AI e strategie personalizzate
    🌐 Info e ticket: www.boicottiamolostreaming.com

    L’evento è aperto a tutti gli artisti, producer, content creator e addetti ai lavori che vogliono immaginare un modo nuovo – più libero, più diretto, più consapevole: per fare musica fuori dalle metriche, dentro le relazioni. Iniziando da oggi.

  • Con l’album “Twins”, i Ferrinis trasformano la vita quotidiana in un racconto a quattro mani

    «Siamo in fissa con la nostra storia, ogni sequenza è scritta da noi due»: bastano questi versi per inquadrare l’anima di “Twins”, il nuovo album del duo di fratelli forlivesi Ferrinis, una fotografia nitida della loro generazione dal taglio cinematografico.

    Dieci tracce che somigliano a episodi di un film scritto insieme – anche quando i protagonisti sembrano andare in direzioni opposte. Nessuna scorciatoia: solo relazioni imperfette, assenze come altalene di sensazioni, desideri che si contraddicono, notti che iniziano con un bacio e finiscono con un addio.

    Nel pieno di una stagione musicale sempre più improntata alla viralità e all’effimero, “Twins” sceglie un’altra strada. L’album tiene insieme i fili di una narrazione coerente, tanto nel linguaggio quanto nelle immagini: ogni brano è un frammento scritto a quattro mani, con la precisione di chi conosce bene le proprie fragilità e ha scelto di trasformarle in canzoni.

    Perché “Twins” non è solo una somma di storie, ma una voce che si fa in due. Non un punto di vista doppio, ma uno solo, condiviso. Nei brani, i Ferrinis portano il loro sguardo tra i chiaroscuri dell’amore, mettendo in scena legami sbagliati al momento giusto, addii mai risolti e ritorni che sembrano sogni.

    Non spiegano: mostrano. E lo fanno con istantanee che arrivano prima delle parole. Rapporti che si sfiorano, si consumano, a volte si salvano. L’amore, qui, non viene raccontato: viene ripreso nei dettagli, come se lo vedessimo da dietro una finestra.

    Ed è proprio da quella finestra che inizia “Twins”: con l’inedito “Il Nostro Film”, un’apertura che imposta subito lo sguardo. «Ricominciamo a scrivere il nostro film, tra momenti indelebili ed errori cancellabili». Le relazioni diventano un set da cui fuggire o in cui ritrovarsi, un piano sequenza interrotto che cerca ancora un finale. Una storia che si può riscrivere – anche quando sembra troppo tardi – se si ha il coraggio di farlo insieme.

    Ogni traccia è uno scorcio da cui si entra e si esce con angolature diverse. C’è il disincanto di “Coca e Malibù”, dove il vuoto è mascherato dallo scintillio dei social «Brillano i diamanti ma non brilla il mondo. Vuoto, vuoto, vuoto, tutto il resto dentro». E c’è la sensualità di “Labbra al Curry”, tra viaggi improvvisi, corpi che si sfiorano e sapori che restano addosso.

    Poi arrivano le promesse a metà voce. Quelle che si fanno guardando l’alba, quando tutto sembra possibile ma niente è davvero certo. “Aspettami” è una canzone che non parla esclusivamente di chi si allontana da qualcuno, ma anche di chi parte senza perdere il legame con ciò che è stato. «Aspettami dove sorge il sole, dopo una notte da ricordare, con una storia da raccontare». Non è solo un appello all’altro, ma a se stessi. Un modo per dire che si può cambiare città, paese, vita, ma restare fedeli a ciò che ci ha formati. Per non dimenticare chi eravamo, anche quando il futuro corre più veloce di noi.

    Una tracklist attraversata da ritorni imprevisti, notti che si riaccendono e frasi lasciate in sospeso. Con una scrittura fatta di slanci diretti e riferimenti pop – «Far l’amore è come un luna park» (da “Caldo Atomico”) – i Ferrinis incorniciano frammenti di relazione senza ingabbiarli, lasciando che parlino da soli. C’è leggerezza, ma anche tagli netti. Ci sono cliché che si rompono, e verità che affiorano proprio quando smetti di cercarle. Il loro è un mondo pieno di contrasti: iconico e quotidiano, fragile e diretto, personale ma condivisibile.

    E quando l’istinto prende il sopravvento sulla ragione, lo fa senza chiedere permesso. In “Lussuria e Desiderio”, la voce si fa corpo, e il corpo si fa dubbio. Attrazione e distanza si mescolano senza trovare tregua, come se ogni gesto fosse destinato a non durare: «Vorrei restare ma non riesco a trattenermi, non riesco a difendermi». In “Rollercoaster”, tutto rota attorno ai saliscendi emotivi di una relazione instabile. “Poche Ore”, raccoglie quello che resta quando il tempo si accorcia. “Aspettavo Questa Notte” è una corsa a perdifiato verso qualcosa che, forse, non tornerà più.

    Una progressione che rivela uno dei tratti più riconoscibili del disco: non c’è una linea narrativa unica, ma un intreccio continuo tra momenti sparsi e connessioni che riaffiorano. Una dicotomia che diventa stile, tra passato e presente, velocità e nostalgia.

    In “Senza Lieto Fine”, la chiusura dell’album, tutto si stringe in un epilogo sospeso, con un tono quasi elegiaco: «Come una melodia senza lieto fine, mi sa solo consumare. Niente mi può dare pace». Maicol e Mattia Ferrini immortalano l’esatto punto in cui qualcosa si spezza. Senza consolazioni, ma raccontando la verità di molti capolinea sentimentali contemporanei: quelli che non arrivano mai davvero. Una finale che non chiude, ma rilancia. Come se l’ultima scena non fosse ancora stata scritta.

    Perché certe assenze fanno più rumore di qualsiasi presenza.

    E se ciò accade, è perché continuano a parlarci anche quando tutto tace. Con “Twins”, Maicol e Mattia non cercano l’effetto immediato, ma lasciano spazio a ciò che torna. A ciò che resta.

    «Volevamo fare un disco che non avesse bisogno di essere spiegato – dichiarano -. “Twins” è nato come una finestra sul nostro mondo. È un album fatto di errori, ritorni, notti che sembrano infinite e frasi che ci siamo detti davvero. Ogni pezzo è un ricordo, una voce che ti risuona in testa quando meno te lo aspetti. Abbiamo scritto cercando la verità, anche quando fa male. Non volevamo dare risposte, ma fare spazio alle domande. A quello che succede quando pensi che sia tutto finito e invece no. La musica ti ci riporta, anche quando non vuoi.»

    In un’epoca in cui tutto è istantaneo, “Twins” prende tempo. Tra notti che sembrano durare due ore e rapporti che implodono prima di definirsi, i Ferrinis scelgono un linguaggio fatto di frasi concrete, immagini forti, emozioni riconoscibili.

    La contemporaneità che raccontano è quella in cui vivere ogni giorno «come fosse l’ultimo» (da “Poche ore”) significa anche perdere il senso del costruire, del fermarsi, del capire. In questo, il disco si inserisce in una riflessione più ampia: sulla fragilità della presenza, sulla permanenza del ricordo, sulla difficoltà di distinguere ciò che è passato da ciò che ancora abita dentro.

    Un disco che ha il passo del presente, ma guarda lontano.  “Twins” è il risultato di un’identità che non cerca mai una definizione netta. I Ferrinis non somigliano a nessuno, perché il loro sguardo è interno: si muove tra scene di vita, pensieri lasciati a metà, e ritornelli che sembrano messaggi vocali mai inviati.

    Con “Twins”, aprono un nuovo capitolo, in cui l’equilibrio tra immaginario pop e scrittura personale diventa cifra narrativa. E mentre tutto si consuma in poche ore, loro lo scrivono, lo cantano, lo mettono in scena. Senza pretese, ma con la voglia di dire: questa storia, forse, l’hai vissuta anche tu.

    Perché come affermano i due fratelli in conclusione, «Non importa se la storia è finita: ciò che ti rimane dentro, a volte, è più forte di quello che vivi davvero».

    “Twins” – Tracklist:

    1. Il Nostro Film
    2. Rollercoaster
    3. Lussuria e Desiderio
    4. Poche Ore
    5. Aspettami
    6. Aspettavo Questa Notte
    7. Caldo Atomico
    8. Coca e Malibù
    9. Labbra al Curry
    10. Senza Lieto Fine

  • “E Staje cu Mme” di Gianni Negri: una canzone che racconta il coraggio di restare

    Un abbandono totale all’amore. “E Staje Cu Mme”, il nuovo singolo di Gianni Negri (PaKo Music Records/Believe Digital), è la sintesi di ciò che, in fondo, non si può sintetizzare: la presenza dell’altro che diventa essenziale, il bisogno che non si dice, ma si riconosce.

    Un saluto trattenuto sulla soglia, le mani che non si lasciano, anche quando tutto attorno è in frantumi. Per la prima volta nella sua carriera, il cantautore e polistrumentista partenopeo scrive e interpreta un brano interamente in lingua napoletana, aprendo un nuovo capitolo della sua traiettoria artistica. Una scelta che non è solo stilistica, ma identitaria: un ritorno alle radici, un gesto affettivo, un’affermazione di appartenenza, di fedeltà a ciò che resta, anche quando il tempo e il rumore provano a mettere a tacere ciò che conta davvero.

    Con la produzione di Valerio De Rosa, “E Staje Cu Mmme” non si limita a raccontare un sentimento, ma lo attraversa e lo assume per intero: nella gioia, nella fragilità, nell’urgenza di esserci nonostante tutto. Una dedica intima a chi c’è, non per obbligo, ma per scelta. Un suono essenziale, capace di sostenere il testo senza spegnerne il respiro, senza invaderlo, accompagnandolo con equilibrio e misura, lasciando spazio al senso.

    «“E Staje Cu Mme” – spiega Gianni Negri – è una carezza che arriva dopo il rumore, dopo i giorni in cui si dubita perfino di sé. È il mio omaggio a chi c’è, a chi non si tira indietro anche quando sarebbe più semplice farlo.»

    Nel panorama odierno, dove i dati ISTAT confermano un calo costante dei matrimoni e un aumento delle separazioni (+31,2%), “E Staje Cu Mme” si impone come una contro-narrazione: un invito a custodire l’intimità non come rifugio ma come scelta consapevole. Una canzone che non celebra l’inizio dell’amore, ma la sua tenacia nel tempo, quando l’incanto iniziale lascia spazio alla realtà, e rimanere accanto a qualcuno diventa un atto di volontà e di cura. Scegliersi, dichiararsi necessari a vicenda non è solo romanticismo: è un gesto che, oggi, può considerarsi quasi rivoluzionario.

    In un tempo in cui i legami sembrano fragili, le relazioni sentimentali vengono spesso archiviate alla prima incrinatura, e molti brani raccontano l’amore come ossessione o salvezza, “E Staje Cu Mme” si muove su un piano più adulto: quello della presenza. Non c’è l’idealizzazione dell’altro, ma la presa di coscienza che amare davvero significa accettarne i silenzi, la distanza, le differenze. Questo brano suggerisce un’altra strada: un legame che si fortifica attraverso la fragilità, e trova senso proprio nel riconoscimento reciproco. Perché il silenzio, ancor di più delle parole, diventa il luogo dove si misura la mancanza:

    «Luntano a te nun sacc’ stà, pecchè o silenzio me fa chiagnere»
    («Lontano da te non so stare, perché il silenzio mi fa piangere»)

    Ma “E Staje Cu Mme” non è una risposta nostalgica. È un gesto presente, quotidiano. Una canzone che non mitizza, ma riconosce. E per questo arriva.

    «Pecché tu si na parte e me, pecché pur’ io so’ parte e te»
    («Perché tu sei una parte di me, e anch’io sono parte di te»)

    Dopo anni di pubblicazioni in italiano, Gianni Negri sceglie il napoletano per dire ciò che in italiano non suonerebbe allo stesso modo. Una lingua che scava, che trattiene, che sa toccare senza invadere:

    «Scrivere in napoletano è stato come tornare a casa – spiega l’artista -. Ogni parola ha un peso diverso, più viscerale. Alcune cose si possono dire solo così.»

    Negli ultimi anni, la lingua napoletana ha conosciuto una nuova primavera, anche grazie a fenomeni mainstream che l’hanno riportata al centro dell’industria discografica nazionale. Ma qui non si rincorre alcuna tendenza: “E Staje Cu Mme” è un ritorno necessario, non un calcolo.

    Una storia che parla a chi sa che amare non significa trattenere, ma esserci senza clamore. A chi ha imparato che il sentimento più sincero, genuino e profondo non sta e non si misura nelle promesse, ma nei gesti silenziosi che non chiedono, ma affermano. A chi ha capito che l’amore vero non è quello che accade, ma quello che si costruisce. Non si tratta di restare a ogni costo, ma di comprendere quando l’altro è parte di noi, anche nella difficoltà.

    «E nun me lass’ maje sti mane, pure si fora ’o tiempo è scuro e fa paura»
    («E non lasciarmi mai le mani, anche se fuori il tempo è buio e fa paura»)

    Un verso che non invoca, ma dichiara: anche nei giorni incerti, la vicinanza può essere una scelta, non una conseguenza.

    «Pecché tu si na parte e me, pecché pur’ io so’ parte e te»
    («Perché tu sei una parte di me, e anch’io sono parte di te»)

    Una frase che non serve spiegare. In poche parole, la definizione più semplice e disarmante dell’amore maturo: non qualcosa che si possiede, ma qualcosa che ci compone. Un riflesso condiviso. Un’identità che si crea insieme, nella continuità di una presenza che non cerca definizioni. Una fiducia che non cerca continue conferme. Una vicinanza che, anche nel buio, diventa appiglio.

    Un appiglio che non nasce dalla dipendenza, ma da quel tipo di amore che non ha bisogno di essere perfetto per essere vero. Una quotidianità che si regge sulla scelta di continuare a esserci anche nei momenti opachi, nei giorni che non brillano.

    Dopo aver duettato con Laura Pausini nella versione napoletana di “Durare” e una serie di pubblicazioni che ne hanno affinato il profilo autoriale, Gianni Negri si conferma come una delle voci che meglio stanno riscrivendo il cantautorato italiano contemporaneo, tra lingua, appartenenza e scrittura.

    È questo, forse, il messaggio più autentico di “E Staje Cu Mme”: l’amore che diventa solido non perché è perfetto, ma perché è condiviso anche nei giorni storti, nei silenzi, nelle esitazioni. Un brano che riporta l’attenzione su temi che riguardano la costruzione di un rapporto duraturo, fatto di presenza quotidiana, imperfezione condivisa, e dialogo silenzioso tra due anime che scelgono di riconoscersi ogni giorno. Perché restare, nonostante il buio, nonostante le crepe, è un atto di bellezza e resistenza. E in questo, la canzone ci suggerisce che l’intimità, oggi più che mai, è un atto rivoluzionario.

  • Chi aspetta ama due volte: Marino Alberti lo racconta in “Ho Aspettato”

    Ha calcato i palchi con Loredana Bertè, Emma Marrone, P.F.M. e Patty Pravo. Ha firmato brani prodotti con musicisti di livello internazionale come Faso (Elio e le Storie Tese), Lewie Allen (Sam Smith, Elton John) e Riccardo Kosmos (Achille Lauro). Oggi, dopo oltre 2,5 milioni di stream accumulati con i suoi ultimi lavori, Marino Alberti torna con un nuovo singolo che non celebra l’amore, ma lo mette in pausa. “Ho Aspettato” è una ballata sospesa, delicata e tagliente al tempo stesso, che racconta l’amore atteso, idealizzato, proibito – quello che, pur non accadendo, resta addosso e si sedimenta più di qualsiasi storia vissuta.

    Una canzone che non si concentra sul sentimento dichiarato, ma su quello trattenuto, inespresso. Che non parla di relazioni concluse, ma di quelle rimaste irrisolte, consumate solo in parte. Un brano che punta dritto a una domanda che molti evitano: quanto tempo possiamo restare fermi ad aspettare un ideale di amore che forse non arriverà mai?

    Una narrazione che si lega a un vissuto comune e trasversale: quello di chi, in un’epoca iperconnessa, si sente più solo che mai. L’amore come antidoto alla solitudine, che si proietta sull’altra persona, anche senza conoscerla davvero.

    Una forma di attesa silenziosa che, nella frenesia contemporanea, appare quasi paradossale, ma trova riscontro nei dati più recenti. Secondo l’Istat, infatti, oltre il 45% degli italiani tra i 30 e i 50 anni ha dichiarato di aver vissuto almeno una relazione immaginata o idealizzata, spesso mai concretizzata. Una tendenza che racconta molto del nostro tempo: connessioni sempre più virtuali, sempre più incerte, dove si finisce per amare un’idea più che una persona.

    In un periodo storico in cui anche pulsioni ed emozioni passano attraverso chat effimere e fantasie digitali, “Ho Aspettato” si interroga su quanto siamo ancora disposti a restare — anche da soli — davanti alla porta di un amore che non bussa.

    È in questo contesto che “Ho Aspettato” diventa un documento, uno spaccato attualissimo. Una voce fuori campo che non vuole e non pretende di spiegare, ma sceglie di dare spazio a ciò che spesso resta relegato ai margini: amori imperfetti, incompleti, non ricambiati. Non cerca di risolvere il paradosso, ma lo nomina. Lo attraversa, lo canta. E nel farlo, restituisce dignità a quell’amore “minore”, troppo spesso ignorato perché a senso unico.

    «Aspettare è una forma di amore che nessuno celebra – dichiara l’artista –. Non volevo raccontare una storia riuscita, perché quelle si raccontano da sole. Volevo volgere lo sguardo a chi ha aspettato in silenzio, amando senza sapere se sarebbe mai bastato. Forse è questo l’amore che ci segna di più: quello costruito nella mente e vissuto nel cuore, senza mai riuscire a portarlo alla luce. Un amore che non si chiude, che resta aperto. E forse, proprio per questo, insegna tanto, su di noi e sulla nostra capacità di donare senza chiedere nulla in cambio.»

    La produzione, firmata dallo stesso Alberti, conserva l’essenzialità di un brano scritto con pudore e urgenza. Una melodia circolare, che gira intorno a poche parole, a pochi accordi, come se lo scorrere del pezzo volesse imitare quello dell’attesa: lento, reiterato, sospeso.

    Da qui nasce anche il senso del testo, un testo per chi ha amato, ama o amerà. Un testo che non cerca di compiacere, di offrire risposte o verità assolute, ma accompagna. E in un tempo che chiede sempre certezze immediate, accettare l’incertezza è già una forma di libertà.

    Una canzone per chi ha amato in silenzio, per chi ha rimandato, per chi ha tenuto acceso un sentimento senza sapere se avrebbe mai avuto un seguito. Per chi ha cercato amore vero e non solo idealizzato. Per chi ha voluto credere, pur sapendo.

    Con questo nuovo progetto, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Nicola “G. Man” Togni, Marino Alberti si conferma tra i cantautori italiani più attenti a ciò che accade dentro e fuori le canzoni.

    «La vita è un battito e non bisogna mai aspettare – conclude -. Ma una sola cosa al mondo vale davvero la pena di essere aspettata. L’Amore.»

    “Ho Aspettato” ci invita a riconoscere il valore delle attese, anche quando sembrano inutili. Perché, in fondo, tutti siamo stati lì: a sperare, a proiettare, a inseguire un sentimento che forse era solo nella nostra mente, ma che ci ha fatto sentire vivi.

  • Scrivere anche quando nessuno legge: la rivoluzione di “Anche se piove (platinum version)”, il nuovo singolo della 17enne Shaza prodotto da Roberto Costa

    “Ti amo” ripetuto 14 volte senza pausa, come un mantra, come un urlo silenzioso. Sussurrato, urlato, scritto nell’acqua e cancellato dalla pioggia. Si apre così la platinum version di “Anche se Piove”, il nuovo singolo della giovane cantautrice comasca Shaza, che segna il suo esordio discografico ufficiale con Watt Musik Records, sotto la produzione di uno dei nomi più rilevanti della musica italiana: Roberto Costa.

    Una dichiarazione ostinata e fragile, un atto d’amore gettato nel vento, che in questa nuova veste prende forma grazie alla produzione di Roberto Costa: bassista, arrangiatore e produttore di riferimento della scena nazionale, che ha plasmato il suono di Lucio Dalla, al suo fianco per oltre trent’anni. Nel suo percorso anche Ron, Ivan Graziani, gli Stadio, Luca Carboni, Matia Bazar, Mina e Gianni Morandi. Una carriera che attraversa decenni di musica italiana, oggi al servizio di una nuova generazione.

    Quella di Shaza è la lettera mai letta di una ragazza che si sente invisibile. Lo si intuisce da un dettaglio, un inciso tra i versi lasciato quasi in disparte, eppure impossibile da ignorare: «Gli scrive una lettera ma l’acqua la scioglierà». È la voce di chi aspetta senza farsi notare, di chi ama senza clamore, senza essere visto. Una protagonista maldestra e disarmata, goffa e sincera, che rincorre un amore distratto e inciampa nel tentativo di spiegarsi, di farsi sentire. Le parole ci sono, ma si perdono. Come se non bastassero mai.

    «Anche se piove e scompaiono le mie parole, il mio amore per te non muore». Una dichiarazione che non chiede risposta, e che trova forza proprio nel silenzio. Perché anche quando tutto svanisce, l’amore resta. E scriverlo — anche se nessuno lo leggerà — è già un modo per non perdersi, per restare fedeli a ciò che si prova. Perché certe parole, anche se si dissolvono, dicono di più di chi le ha scritte che di chi le riceve.

    Con questa Platinum Version, Shaza rilegge una canzone già pubblicata nel 2023, affidandola alla sensibilità musicale di Costa. Ne nasce una ballata a mezz’aria tra esitazione e coraggio, dove l’arrangiamento lascia spazio al respiro del testo, senza forzarlo. È un passaggio di crescita, di maturazione consapevole, che racconta una diciassettenne capace di usare la musica per nominare ciò che non trova posto altrove. Con una nuova lucidità: quella di saper scegliere le parole, e il modo giusto per farle arrivare.

    In un’epoca in cui si parla di iperconnessione ma cresce l’isolamento tra i giovani, “Anche se Piove (platinum version)” diventa la voce di chi non viene ascoltato, portando al centro una dinamica fin troppo comune tra gli adolescenti: l’amore non corrisposto, l’invisibilità percepita, il bisogno di esprimersi anche quando non si attende una risposta. Secondo l’ISTAT, infatti, oltre un terzo degli adolescenti italiani tra i 14 e i 19 anni ammette di sentirsi spesso escluso nei contesti sociali. Un disagio che si acuisce ancora di più quando si parla di sentimenti.

    Un terreno comune che Shaza conosce bene:

    «Questa canzone nasce da quella sensazione di urlare qualcosa che però non viene ascoltato – racconta –. Ho sempre pensato che, anche se il mio messaggio si perdesse nella pioggia, valesse comunque la pena scriverlo. Perché certe parole servono prima di tutto a chi le dice.»

    “Anche se Piove (platinum version)” si fa simbolo di chi scrive lettere senza risposta, di chi ama senza far rumore, di chi lotta per un’emozione, anche quando tutto sembra suggerire il contrario.

    Shaza non è solo una cantautrice. Studentessa al liceo artistico di Appiano Gentile (CO), coltiva la musica parallelamente all’arte visiva, e questo approccio si riflette nella costruzione dei suoi brani: ogni parola è scelta come un colore su tela, ogni suono è un dettaglio che compone un’immagine.

    Questa visione attraversa anche il videoclip ufficiale del brano, prodotto da Antonio Isaldi per IsyFilm e diretto da Jordan BK, che trasla sul piano visivo quell’universo interiore fatto di attese, lettere sciolte dall’acqua, treni persi. Un’estetica che richiama la malinconia romantica di un certo cinema europeo, tra le atmosfere sospese di Kieslowski e i silenzi narrativi di Rohmer.

    È da questo intreccio tra musica e identità che nasce un percorso nuovo: a diciassette anni, Shaza firma con una label indipendente che scommette sul valore narrativo e creativo del progetto. Non un’operazione costruita a tavolino, ma l’inizio di un cammino che affonda le radici nella verità di chi scrive per orientarsi, anche perdendosi dentro il proprio disordine.

    «Non canto mai qualcosa che non ho provato davvero – spiega l’artista, in conclusione –. Per me scrivere è come trattenere il respiro finché non trovi la parola giusta. E quando arriva, senti che puoi ricominciare a respirare.»

    Con “Anche se Piove (platinum version)”, il messaggio arriva senza fragore, ma resta. Esistono ancora canzoni che non cercano di convincere, ma semplicemente di esserci. Anche se piove.

  • “Animale ‘e Città” di Eric Mormile: un brano per raccontare le piccole gioie che resistono al logorio della vita moderna

    C’è un momento preciso, in ogni weekend, in cui le strade iniziano a cambiare ritmo. I turni finiscono, i tram si svuotano, e una città che corre tutto il giorno si concede una tregua: è l’ora in cui ognuno torna ad essere semplicemente se stesso. È in quell’attimo che si inserisce “Animale ‘e Città“, il nuovo singolo di Eric Mormile, cantautore e polistrumentista napoletano, già riconosciuto per una cifra raffinata, consapevole e sempre in dialogo con le proprie radici.

    In un’Italia che spesso confonde il tempo libero con un lusso da meritarsi, “Animale ‘e Città” restituisce centralità e dignità al diritto al riposo: concedersi un momento di leggerezza, qualunque sia il proprio lavoro, percorso o condizione. È un brano che fotografa quella transizione settimanale in cui il dovere cede, anche solo per poco, il passo al piacere, e in cui è necessario, per il nostro equilibrio, reclamare il diritto a stare bene, almeno per una sera. Con la sua penna immaginifica, da sempre in grado di unire introspezione, profondità, ironia e concretezza, Mormile racconta la città nella sua veste più vera: quella fatta di stanchezza, risate, attese e libertà temporanee. Il fine settimana diventa così lo spazio in cui si ritrova un’umanità viva, spesso invisibile nei giorni feriali.

    Quello di Eric è un canto alla normalità che resiste, tra precarietà e speranza, l’espressione di un desiderio semplice e collettivo di svago che accomuna operai, studenti, disoccupati e professionisti. “Animale ‘e Città” tratteggia con lucidità quella condizione condivisa da molti, in cui la libertà coincide con poche ore rubate al tran tran settimanale. Il testo mette al centro il diritto, spesso trascurato, al tempo libero, anche quando la realtà economica è incerta: «comme na foto ferma ‘o tiempo int’ ‘e rresate pure ‘e chi nun tene ‘a mesata» («Come una fotografia che ferma il tempo dentro le risate anche di chi non ha lo stipendio»).

    Nato nel 2018, il brano ha trovato la sua forma definitiva oggi, all’interno di un nuovo corso artistico in cui Mormile ha deciso di lasciare da parte le narrazioni più cupe per abbracciare una visione luminosa e costruttiva.

    «Questo brano è un invito a concedersi il diritto di deviare, almeno una volta a settimana, da tutto ciò che ci incatena – spiega l’artista -. La felicità non è un privilegio di pochi, ma un bisogno comune, che passa anche da una risata in buona compagnia.»

    Dal punto di vista musicale “Animale ‘e Città” attinge alle sonorità morbide e solari del Soft Rock americano di matrice Yacht Rock, un genere molto in voga in California tra l’inizio degli anni 70 e la prima metà degli anni 80, oggi rivalutato, anche tramite la ridenominazione, come manifesto sonoro di un’epoca sospesa tra edonismo e ricerca di equilibrio. Tra le influenze dichiarate, spiccano Toto, The Doobie Brothers, Steely Dan e Pages. Riferimenti scelti non solo per stile ma per affinità emotiva: il brano, che sarà inserito nel nuovo album del cantautore partenopeo, in uscita nei prossimi mesi, è infatti ispirato da un viaggio in California che ha lasciato un’impronta indelebile nel suo immaginario. La copertina è un elaborato grafico a cura dello stesso Mormile, realizzato a partire da una foto scattata da Ocean Jaramillo, cugina di secondo grado dell’artista, durante quell’esperienza.

    Nel periodo in cui scriveva “Animale ‘e Città”, l’artista attraversando un passaggio di vita importante, come lui stesso racconta:

    «Avevo bisogno di rimettere ordine tra chi ero e chi stavo diventando. Scrivere questa canzone mi ha aiutato a capire che anche le parentesi leggere hanno valore. A volte la libertà è solo potersi permettere di ridere con chi ami.»

    Ad accompagnare la release, il videoclip ufficiale girato a Bagnoli, uno dei quartieri più simbolici della Napoli contemporanea, oggi al centro dell’attenzione per i continui sciami sismici che colpiscono l’area flegrea, scelto dall’artista per ricordare che anche nelle zone ferite della città si può continuare a vivere, a creare e a sorridere.

    «Tenevo molto a mostrare un’altra faccia del territorio – prosegue Eric – quella della sua vitalità, della sua gioia, della sua forza. Qui non ci sono solo tragedie, ma persone che vivono, ridono e si stringono l’un l’altra.»

    A rafforzare questo messaggio, la presenza di amici e persone care nel video – volti familiari che diventano parte integrante della narrazione, regalando autenticità e calore alle immagini. Tra i partecipanti compaiono Elvira Fiore, Elia Isaia, Enrico Rolfi, Salvatore Morra, Antonietta Di Marzo, Nirmal Tremolaterra, Attilio Apa, Ettore Mariotti e Manuela Mari.

    «Ho voluto coinvolgere le persone a me più care in questo video, perché la città è fatta prima di tutto da chi la attraversa ogni giorno con dignità e ironia.»

    Un cameo collettivo che trasforma il videoclip in un album di “famiglia urbana”, sincera e spontanea.

    La produzione musicale è firmata dal Maestro Nino Pomidoro, mentre il video porta la regia di Michele De Angelis per Midea Video. Il testo, come da tradizione per l’artista, è stato supervisionato dal Maestro Salvatore Palomba, autore della celebre “Carmela”. Mormile si è impegnato in prima persona su tutte le tracce strumentali e vocali, lavorando minuziosamente sulle armonizzazioni, ispirate alla timbrica calda e piena di Michael McDonald.

    Quella cantata da Eric è una città che ride nonostante tutto, che si concede alla spensieratezza per sopravvivere. La Napoli che emerge non è quella cartolina, né quella delle tragedie, ma quella reale: fatta di quartieri, di turni che finiscono tardi e di gente che balla con le tasche vuote ma il cuore acceso.

    «Con “Animale ‘e Città” – conclude Mormile – ho voluto cantare non solo il desiderio di evasione, ma il diritto a coltivare le proprie piccole oasi di benessere, senza sentirsi in colpa o fuori tempo. In una società che corre troppo e pretende sempre di più, abbiamo il dovere di ricordarci che ogni tanto fermarsi non è un lusso, è resistenza.»

    Con questo singolo, Eric Mormile conferma la direzione di un nuovo progetto musicale che verrà svelato mese dopo mese nel corso del 2025, un percorso che celebra i piaceri quotidiani attraverso un sound solare, internazionale e personale.

    Un messaggio semplice, ma di grande valore. Che parla al lavoratore che sogna la birra del sabato sera, al precario che aspetta il venerdì per sentirsi parte del mondo, al ragazzo che balla per dimenticare il colloquio andato male. A tutti coloro che vivono la città senza arrendersi. È questa coralità che rende “Animale ‘e Città” una canzone non solo attuale, ma necessaria, che ci ricorda che il tempo per noi stessi non è un lusso, è un diritto, e che a volte, la vera libertà consiste ne darsi il permesso di ridere.