C’è un mondo, oggi, che si sente fuori posto. Giovani e adulti accomunati da un senso diffuso di sfiducia, isolamento, saturazione. A questo mondo parla “Black Crow”, il nuovo singolo di Anna Turrei per Delma Jag Records, che per la prima volta sceglie l’inglese per raccontare il lato della sua identità artistica più scuro, più internazionale e decisamente più radicale.
Non si tratta di una semplice svolta stilistica, ma di un percorso narrativo dentro il disagio di un’epoca che ha smarrito fiducia e direzione. Un disagio che non si consuma nel nichilismo, ma si traduce in conflitto interno, per poi trasformarsi in una forma di giustizia personale, sussurrata, costruita tra le pareti del proprio buio.
Nella canzone, il corvo nero non è solo un simbolo dark. È un personaggio vero e proprio, un anti-eroe notturno che veglia mentre il mondo dorme. È la proiezione di chi, pur sentendosi ai margini, non rinuncia a cercare un significato, una direzione, una forma di giustizia possibile.
È indicativo che ad incarnare questo ruolo non sia un essere umano, ma un animale. Forse perché – come recita il brano – «Animals are the real superheroes, they give true love» («Gli animali sono i veri supereroi, loro danno il vero amore»). Una frase che fa intuire sfiducia verso l’umanità, ma anche una scelta precisa: oggi, a molti, manca un modello reale a cui guardare. A cui ispirarsi. E allora quel modello si inventa. Si immagina. Il corvo nero diventa così la figura che non c’era: emblema di forza che non si impone, ma resiste, paziente, nell’ombra. Vigile, solitario, incorruttibile. Non ha bisogno di mostrarsi; agisce sul piano simbolico, quasi come una sentinella morale, un alter ego per chi si sente costantemente a disagio con ciò che lo circonda.
«Revolution starts from our hearts / taking our values out of the drawer»
(La rivoluzione comincia dai nostri cuori, tirando fuori i nostri valori dal cassetto)
In un tempo in cui il termine “rivoluzione” è spesso parola svuotata o abusata, il verso chiave del brano rimette al centro la sfera interiore, il cambiamento personale come risposta etica a un mondo disilluso.
Non c’è ideologia, né militanza, solo un gesto – semplice in apparenza, ma difficilissimo da compiere davvero: riaprire quel cassetto dove abbiamo riposto e chiuso i nostri valori, quelli autentici, quelli dimenticati.
Nessun riferimento politico, nessuno schieramento o visione sociale strutturata, ma comunque una presa di posizione. A livello esistenziale, morale, spirituale. È una forma di rivoluzione che non passa dalle piazze, ma dal recupero della propria coscienza etica, dalla scelta di non restare anestetizzati di fronte al cinismo generalizzato.
In un contesto generazionale segnato dalla stanchezza civile, dal rifiuto della retorica, “Black Crow” propone una via alternativa: l’intimità come forma di disobbedienza, un modo per restare sensibili in un tempo che narcotizza tutto. È anche da qui che si capisce perché Anna Turrei non è semplicemente una giovane cantautrice emergente, ma una voce che si impegna a riportare senso alle parole che usiamo ogni giorno.
Ed è da questa posizione che il brano si apre a un’altra dimensione:
«It’s a world connected just online, face to face can’t communicate. They retreat into their shell, I no longer have faith in the human race»
(È un mondo connesso solo online, faccia a faccia non si riesce a comunicare. Si chiudono nel loro guscio, io non ho più fiducia nel genere umano)

Qui il tono cambia, si fa più amaro, più diretto. Ma è proprio questa schiettezza, quasi ingenua nella sua onestà, che arriva dritta al punto.
Non si tratta della solita critica all’iperconnessione: è la denuncia di chi constata una frattura profonda, quasi irreversibile, tra la vicinanza del digitale e la distanza delle coscienze. La digitalizzazione dei rapporti ha sostituito la connessione umana con l’interazione di rete, lasciando dietro di sé un vuoto affettivo che nessun like può riempire. Un’intera generazione è cresciuta tra schermi e filtri, e ora fatica a riconoscersi nel contatto diretto, nel volto dell’altro.
Questa constatazione, però, non si traduce in passività: in “Black Crow”, anche chi ha perso fiducia cerca giustizia. Anche chi non si fida più, continua a vegliare sul mondo. In questo senso, il corvo nero non è il simbolo di una chiusura, ma di una volontà ancora accesa. «I am reborn like a phoenix» («Rinasco come una fenice»): una fenice che sceglie il coraggio della solitudine alla complicità dell’apatia.
«Black Crow is coming, Black Crow is here» («Il corvo nero sta arrivando, il corvo nero è già qui») – recita il ritornello – e non è una minaccia, ma un annuncio: il ritorno di chi ha scelto di non arrendersi.
Ed è anche il ritorno di un’estetica che sembrava marginale, ma che oggi è ovunque: il gotico, il dark, l’immaginario notturno, tornati centrali nella cultura pop contemporanea. Dopo l’onda lunga di Billie Eilish, il successo planetario della serie Netflix “Mercoledì” e il revival di atmosfere cupe nella musica e nella moda, “Black Crow” arriva nel momento esatto in cui il buio ha smesso di fare paura ed è diventato un vero e proprio linguaggio. Un universo che sembra uscito da un graphic novel, ma che parla con la lingua della psicologia contemporanea.
Corvi, fenici, simboli archetipici, creature silenziose e notturne: la nuova generazione non si racconta più attraverso la luce, ma attraverso le zone d’ombra, quelle che costringono a guardarsi dentro, non fuori da sé.
Anna Turrei entra in questo panorama con una voce che non asseconda il gusto del momento, ma l’adesione sincera a un’estetica che coincide con uno stato d’animo condiviso da molti.
In un tempo musicale che spesso confonde l’introspezione con il manierismo e il disagio con il marketing dell’oscurità, “Black Crow” si distingue perché non vuole creare stupore, ma riflessione e dialogo. E lo fa senza spettacolarizzare il dolore e senza nascondere le fragilità che abitano e attraversano ciascuno di noi.
È un pop che non si limita ad evocare simboli ma li vive e li assume come protagonisti di un’epoca in cui tutti vogliono esserlo, ma pochi accettano di assumersene il peso e la responsabilità. E che trova nella lingua inglese non un vezzo internazionale, ma una scelta narrativa necessaria, per parlare da dentro un’identità che si sente parte di un disagio più grande.
“Black Crow” non cerca vendetta in senso stretto, ma dignità, e in una contemporaneità dominata dall’apatia e dal disincanto, ci ricorda che anche nella solitudine più cupa può nascere un’idea di giustizia.


Simbolo del bianco, dell’acqua e della rinascita, l’Albedo rappresenta la seconda fase del processo alchemico, quella della purificazione.
Il brano è un’esplosione di pop e dance contemporanei, un mix di ritmo pulsante, bassi caldi e synth brillanti che restituiscono un’atmosfera internazionale, ma sempre con un tocco di stile italiano. La voce di Alis, carismatica e avvolgente, alterna inglese e italiano con naturalezza, diventando il ponte tra due mondi culturali che convivono in lei.



