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  • Il 40% degli adolescenti italiani crede ancora nei vecchi ruoli di genere: Luca Fiocca spiega perché

    Un architetto innamorato dell’arte e della cultura, uno scrittore che racconta con ironia e intelligenza il mondo delle relazioni interpersonali: Luca Fiocca è tutto questo e molto di più. Il 2 aprile 2025, in occasione del trecentesimo anniversario della nascita di Giacomo Casanova, verrà presentato ufficialmente il suo saggio “Se è tortora all’acqua torna”, un compendio semiserio che affronta con acume e leggerezza il tema della seduzione contemporanea. La data coincide con il lancio internazionale dell’edizione in lingua inglese, “If It Is Turtledove To Water Back”, segnando un nuovo traguardo per un progetto che sta già catalizzando l’attenzione del pubblico e dei media.

    Quella di Fiocca è un’idea che lo stesso definisce essere “nata dal disagio del maschio contemporaneo”. Il saggio prende spunto da una realtà che in pochi osano raccontare: il maschio latino, un tempo emblema di sicurezza e fascino, oggi sembra attraversare una crisi. I dati di un recente studio condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (2020) ha rivelato che il 40% degli adolescenti italiani ritiene ancora che debba essere l’uomo a mantenere la famiglia, e un maschio su quattro pensa che l’uomo debba comandare in casa.

    Questi dati allarmanti dimostrano come stereotipi di genere persistano tra i giovani, evidenziando non solo il riflesso di una mentalità anacronistica, ma anche un ritardo culturale preoccupante, che ostacola una visione più equilibrata e paritaria delle relazioni tra uomini e donne.

    La situazione si presenta anche nelle dinamiche relazionali degli adulti. Un’indagine condotta da Ipsos per Save The Children nello stesso anno, ha evidenziato come questa realtà stereotipata influenzi le opinioni e i comportamenti degli adolescenti italiani, con una significativa porzione che associa determinati comportamenti e capacità emotive al genere femminile, mentre le competenze logiche e assertive vengono percepite come più equamente distribuite tra i generi. Questa rigidità nei ruoli può portare a difficoltà nelle relazioni interpersonali, rendendo la seduzione un’arte da riscoprire con nuove regole e una sensibilità aggiornata ai tempi moderni.

    Una visione che contribuisce a una crescente timidezza e mancanza di iniziativa nelle dinamiche sentimentali e sociali.

    Anche la star internazionale Charlize Theron ha recentemente evidenziato questa problematica con una dichiarazione che ha fatto discutere: “Sono single da dieci anni. Qualcuno dovrebbe farsi avanti! Sono scandalosamente disponibile”. Un’affermazione che, più che un caso personale, sembra un sintomo di un cambiamento epocale nelle dinamiche di coppia: se anche un personaggio iconico e di spicco come lei, riconosciuta a livello globale come una delle donne più belle, eleganti e sensuali fatica a trovare uomini disposti a prendere l’iniziativa, è evidente che qualcosa nel modello maschile tradizionale si sia incrinato.

    È proprio in questo contesto che “Se è tortora all’acqua torna” si inserisce con lucidità e ironia: non un manuale di seduzione nel senso classico, ma un invito a riscoprire l’incontro nella sua accezione più autentica e pura, oltre gli stereotipi, con sensibilità, consapevolezza ed una prospettiva fortemente inclusiva.

    Luca Fiocca non è solo un teorico della seduzione, ma un vero interprete del suo tempo. Durante la recente Milano Fashion Week, ha collaborato con la stilista Carmela Luciani e il sarto Geza Berez di Dress Meand You nell’iniziativa benefica collegata all’evento “Fashion for Good” – diretto da Alex Belli e condotto da Marianna Miceli di Mad Mood Milano -, presentando uno show e contribuendo alla donazione di 20 parrucche all’ospedale Humanitas. Un gesto che unisce il mondo dell’apparenza a quello dell’essenza, sottolineando il valore della bellezza, nel suo significato più intimo e nobile, anche in contesti di difficoltà e sofferenza.

    La riflessione di Fiocca ha già conquistato i media italiani. Per sei mesi, Novella 2000 ha dedicato una rubrica settimanale al suo saggio, con articoli che spaziano dai consigli pratici alle analisi psicologiche dell’arte della conquista. Gianni Ippoliti ha dedicato un siparietto su Rai 1 nella sua rassegna stampa di Uno Mattina in Famiglia, consacrando il manuale come un caso editoriale capace di unire cultura pop e ricerca sociologica.

    L’idea alla base del titolo del saggio è profondamente radicata nella cultura salentina: la tortora che torna all’acqua simboleggia il ritorno di un amore autentico, un legame che supera le difficoltà e ritrova la sua strada. L’antico detto della Terra d’Otranto, “Ci è tòrtura all’acqua li tocca”, descrive proprio questo: una tortora che, per istinto, torna sempre alla sua fonte, così un sentimento sincero valica ostacoli e distanze. Questo concetto si trasforma ora in un vero e proprio brand, con il lancio di una linea di t-shirt che riportano la frase sia in italiano che in inglese, “If It Is Turtledove To Water Back”. Un gioco dal significato importante, tra passato e modernità, che conferma il desiderio di Fiocca di rendere il suo messaggio qualcosa di tangibile e quotidiano.

    Perché la seduzione non è solo un’arte del linguaggio, ma anche un modo di porsi nel mondo, di esprimere un’identità. Ed è qui che entra in gioco Palascia, il marchio di occhiali interamente made in Salento, nato per raccontare tradizione, artigianalità e carattere. Disegnato da Margherita Plenilunio, che con il marito Valerio Furone guida F & P OcchialiPalascia rappresenta un’idea di eleganza che affonda le sue radici nella cultura salentina, esattamente come il libro di Fiocca.

    L’evento di presentazione del 2 aprile sarà solo il primo passo di un percorso di approfondimento su un tema che continua a evolversi con la società. Luca Fiocca non si limita a scrivere: con la sua capacità di osservare e reinterpretare la realtà con eleganza e ironia, sta costruendo un nuovo modo di parlare d’amore e di relazioni, adattandosi perfettamente ai cambiamenti sociali e alla sensibilità del pubblico contemporaneo. La sua figura si delinea come un vero e proprio punto di riferimento per chiunque voglia comprendere e vivere con stile l’arte dell’incontro.

    «In un mondo in cui l’amore sembra aver perso la leggerezza del gioco e la profondità del sentimento, ritrovare il coraggio di guardarsi negli occhi è il primo passo per riscoprirsi.» Luca Fiocca.

  • High in the Sky” vola ancora: Adrian e DJ Ramezz e il ritorno della dance ’90

    Il fascino intramontabile della dance anni ’90 incontra le tendenze sonore di oggi. Adrian e DJ Ramezz, dopo aver conquistato le radio europee con il remix di “Because the Night” – reinterpretato in tre versioni distinte, Radio Edit in stile Eurodance, Extended e una speciale Italo Disco pensata esclusivamente per i club italiani – firmano “High in the Sky” (Milleville Music), riportando al centro della scena il cult di Carl del 1999. Un brano che torna con una linfa rinnovata, ancora più energica e carica di magnetismo. Una traccia che, proprio come promette il titolo, porta in alto, alzando il volume dei ricordi e intrecciandoli a vibes contemporanee.

    Perché “High in the Sky” e perché proprio ora? Il brano arriva in un momento in cui la nostalgia degli anni ’90 domina le classifiche e le tendenze, come vero e proprio fenomeno globale. Secondo un recente report di IFPI – International Federation of the Phonographic Industry (Marzo 2024) -, la riscoperta delle hit dance di quell’epoca è in forte crescita, con un +35% di streaming rispetto all’anno precedente, segno di un’ondata nostalgica che domina classifiche e playlist. Un revival che non si limita alla musica: dalla moda alle serie TV, gli anni ’90 stanno vivendo una seconda giovinezza. Adrian e DJ Ramezz si inseriscono in questo trend globale, offrendo però una proposta unica e contemporanea: la loro versione di “High in the Sky” non si accontenta di omaggiare il passato, ma lo reinventa, attraverso arrangiamenti sofisticati e un sound attuale, pensato per conquistare sia i nostalgici che le nuove generazioni.

    A confermare la forza del progetto, i numeri delle loro recenti produzioni parlano chiaro: oltre 25.000 passaggi radiofonici in 90 paesi e migliaia di visualizzazioni per il remix di “Because the Night”, che è diventato rapidamente uno dei brani più trasmessi nel circuito dance europeo. Con “High in the Sky”, i due DJ producer puntano a superare questi traguardi, proponendo un immaginario, una dimensione ritmica, che non si limita a seguire le tendenze, ma punta a ridefinirle, fondendo memoria e modernità in un’unica esperienza sonora destinata a trasformare ogni ascolto in movimento.

    “High in the Sky” parla il linguaggio del presente e il suo ritorno racconta una storia, quella di una generazione che non smette di ballare. Adrian e DJ Ramezz hanno scelto questo brano per la sua capacità di evocare e trasmettere spensieratezza e libertà, valori che, oggi più che mai, tornano ad essere essenziali in un mondo che ha bisogno di leggerezza e positività.

    «Abbiamo voluto dare nuova vita a un brano iconico, senza stravolgerne l’essenza, ma aggiungendo il nostro tocco per renderlo attuale e connesso al presente – racconta Adrian -. La musica dance ha il potere di unire e far sognare. Con questa versione vogliamo regalare un momento di leggerezza e libertà.»

    DJ Ramezz aggiunge:

    «La sfida era quella di creare qualcosa che parlasse a chi ha vissuto gli anni ’90 e a chi li sta scoprendo ora. Crediamo che questa nuova versione abbia la forza per farlo.»

    Il valore del progetto “High in the Sky” va ben al di là della cover, diventando un ponte tra generazioni: porta con sé un messaggio di libertà, di evasione e leggerezza, temi che oggi trovano nuova espressione attraverso la musica. Adrian e DJ Ramezz dimostrano come il passato possa dialogare con il presente, generando qualcosa di nuovo, attuale e in grado di catturare l’attenzione del panorama dance internazionale.

    Con “High in the Sky”, Adrian e DJ Ramezz firmano un ritorno che profuma di passato ma segue il ritmo del presente. Un progetto che conferma come la musica dance possa essere senza tempo, capace di parlare a generazioni diverse con la stessa, inarrestabile, voglia di ballare.

  • Alessandro Rossi, il DJ marito di Francesca Cipriani, torna con “Rica Morena”

    Alessandro Rossi, imprenditore edile, DJ e marito della showgirl Francesca Cipriani, torna sotto i riflettori con “Rica Morena”, un singolo rivoluzionario che combina sonorità internazionali e tradizione italiana in un remix unico nel suo genere. Il pezzo, rivisitazione del celebre brano afro del 2007 di DJ Stefan Egger, contenuto nell’album “Cosmic Evolution”, porta con sé la volontà di far sorridere e alleggerire il cuore di chi lo ascolta, parlando con semplicità e immediatezza a tutte le generazioni.

    “Rica Morena” cattura l’attenzione per l’uso inedito della fisarmonica, strumento simbolo della Romagna, terra che ha plasmato Alessandro con la sua ricca cultura musicale e folcloristica, sposandosi perfettamente con le sonorità house commerciali e il testo in lingua spagnola, interpretato da un talentuoso cantante madrelingua. Questo mix straordinario dà vita a un intreccio sonoro che trascina grandi e piccini in un’esperienza di festa e condivisione.

    Alessandro Rossi spiega:

    «Ho voluto creare qualcosa che portasse gioia e leggerezza, soprattutto ai giovani, che dopo la pandemia sembrano aver perso l’entusiasmo per le piccole cose. La musica è ancora una scintilla che accende emozioni, e con “Rica Morena” spero di regalare sorrisi e momenti di spensieratezza.»

    Alessandro, che ha ripreso in mano la sua carriera musicale dopo anni di pausa dedicati alla sua attività imprenditoriale, racconta come questo progetto sia stato il frutto di un lungo percorso di crescita personale e artistica:

    «È un brano che avevo nel cassetto da oltre dieci anni. L’esperienza maturata mi ha permesso di dargli la forma che sognavo: melodie ballabili, strumenti che parlano all’anima e una produzione curata nei minimi dettagli.»

    Ma le sorprese non finiscono qui. Francesca Cipriani, in un’intervista rilasciata a Monica Setta nel programma di Rai 2 “Storie di donne al bivio”, ha annunciato che la coppia sta lavorando a un brano insieme, la cui uscita è prevista per la prossima estate. Questo esordio musicale promette di fondere la solarità di Francesca con l’energia creativa di Alessandro, dando vita ad un intreccio di complicità e passione, pronto a diventare il simbolo di una sintonia artistica e personale. Il brano segnerà una nuova tappa nel loro percorso, consolidando la loro presenza nello show-biz italiano e regalando al pubblico una collaborazione che saprà sorprendere e conquistare.

    Intanto, con “Rica Morena”, Rossi tesse un filo conduttore tra passato e presente unendo generazioni e culture, e ci esorta a riscoprire la bellezza dei piccoli momenti e a lasciarci trasportare dalla forza liberatoria della musica. Alessandro, che oltre ad essere un imprenditore è anche docente occasionale per i ragazzi delle scuole superiori, ha dichiarato di essere stato ispirato proprio dalle nuove generazioni:

    «Spesso vedo ragazzi tristi e demotivati, ma la musica è un linguaggio universale che può restituire loro la spensieratezza. Con questo brano ho voluto creare un momento di allegria e unione.»

    “Rica Morena”, oltre a segnare il ritorno di Alessandro Rossi sulla scena musicale, si diversifica dall’attuale produzione facendosi portavoce di una promessa. Una promessa di leggerezza in un mondo appesantito, un invito a ballare anche quando i passi sembrano pesanti, un’occasione per ricordare che tra le pieghe della quotidianità si nasconde ancora il ritmo della felicità. E se è vero che la musica ha il potere di trasformare un istante in un ricordo indimenticabile, allora Alessandro Rossi, con questo come back, ci ricorda che la vita non aspetta: va vissuta, cantata, ballata.

  • Un nuovo spazio per parlare di benessere femminile: F.L.Y. lancia “Quel giorno del mese”

    Quando la tecnologia incontra il cambiamento culturale, nascono iniziative in grado di trasformare la società. È il caso di F.L.Y. – Free Like You, startup FemTech nata nel 2024 con una missione chiara: creare una rete di supporto ibrida tra online e offline per migliorare l’accesso alla cura e al benessere femminile.

    Con un approccio innovativo e inclusivo, F.L.Y. lancia “Quel giorno del mese”, un format di eventi mensili pensato per anticipare il debutto della loro app ufficiale. L’obiettivo? Sradicare lo stigma sulle mestruazioni, creare consapevolezza e offrire strumenti concreti per contrastare la povertà mestruale, un fenomeno che, a livello globale, colpisce circa 500 milioni di persone.

    Un tema sempre più centrale nel dibattito pubblico, considerando che solo recentemente in Italia si è iniziato a discutere seriamente di tampon tax e accesso gratuito ai prodotti mestruali, seguendo l’esempio di Paesi come la Scozia, prima nazione al mondo a renderli disponibili gratuitamente per tutte. Con “Quel giorno del mese”, F.L.Y. intende portare questo dialogo nella vita quotidiana, offrendo soluzioni pratiche e creando spazi dove la salute mestruale non sia più un tabù, ma parte integrante del discorso sociale.

    Ogni appuntamento si articolerà in tre momenti distintivi:

    • Talk ispirazionali con esperti del settore e attivistə, per aprire un dialogo su salute mestruale, benessere psicofisico e sostenibilità.
    • Networking e DJ set per favorire connessioni reali in un ambiente rilassato.
    • Live performance di artiste emergenti, per sottolineare l’importanza della rappresentazione femminile nella cultura contemporanea.

    «Vogliamo normalizzare conversazioni che da troppo tempo sono rimaste marginali – dichiara Eleonora La Monica, Co-Founder e CEO di F.L.Y. -. Quel giorno del mese non è solo un evento, ma un punto di incontro per chi crede che il benessere femminile debba essere al centro del discorso pubblico.»

    Nell’ambito di questa iniziativa, il prossimo appuntamento sarà sabato 8 marzo, in occasione della Festa delle Donne, con un evento speciale a Roma: “Aperitivo in Rosso”, in collaborazione con Il Talento di Roma. Dalle 19:30, presso il Tartarughe Bar & Bottega (Piazza Mattei, 7), si terrà un aperitivo tematico dal forte valore simbolico, pensato per sensibilizzare sul tema della salute femminile, in un’atmosfera di condivisione e consapevolezza. La serata prevede un DJ set di Flaxsa, momenti di networking e riflessioni sui diritti e il benessere delle donne.

    Il format di eventi che accompagnerà il lancio dell’app F.L.Y. è un ecosistema digitale pensato per fornire supporto concreto alle donne, o, per citare la filosofa femminista Adriana Cavarero, “alle persone con utero”. Tra le sue funzionalità:

    • Calendario mestruale interattivo con notifiche personalizzate.
    • Mappa geolocalizzata dei dispenser F.L.Y. per accedere facilmente ai prodotti igienici.
    • Sistema di FLYCoin, valuta virtuale per ottenere sconti su visite specialistiche e servizi wellness.

    Un dato significativo sottolinea l’urgenza del progetto: 2 persone su 3 in Italia temono di non avere a disposizione prodotti mestruali al momento del bisogno, mentre il 95% del campione analizzato da Ipsos e WeWorld sostiene la distribuzione gratuita di tali prodotti nei luoghi pubblici.

    F.L.Y. si inserisce in un contesto internazionale in cui il settore FemTech sta rivoluzionando il modo in cui viene affrontato il benessere femminile. Se in Nuova Zelanda e Francia il dibattito sulla distribuzione gratuita dei prodotti mestruali ha portato a importanti riforme, in Italia il percorso è solo all’inizio. Con l’app F.L.Y., l’obiettivo è rendere disponibili oltre 500 dispenser nelle principali città italiane nei prossimi 18 mesi, a partire da scuole, coworking e spazi pubblici. Una risposta concreta a un’esigenza che non può più essere ignorata.

    Il FemTech al servizio dell’empowerment: il mercato globale del FemTech è stimato a 50 miliardi di dollari (2023) e si prevede in crescita tra il 12% e il 15% annuo. In questo contesto, F.L.Y. – Free Like You si posiziona come una delle startup italiane più promettenti, combinando tecnologia, educazione e impegno sociale.

    «Crediamo che benessere significhi accesso, informazione e libertà di scegliere – aggiunge Jacopo Leonardi, Co-Founder e Commercial Strategist di F.L.Y -. Con Quel giorno del mese e la nostra App vogliamo offrire non solo servizi, ma strumenti di emancipazione.»

    F.L.Y. – Free Like You affronta un tema urgente e attuale, in un Paese dove l’unica ricerca specifica sulla giustizia mestruale è stata condotta solo nel 2024. Un progetto che, attraverso un linguaggio diretto e accessibile, abbatte i tabù e promuove un cambiamento culturale necessario.

    “Quel giorno del mese” ci invita a ripensare il concetto di benessere, consapevolezza e inclusività. Perché parlare di mestruazioni significa parlare di uguaglianza, salute e diritti.

  • Naver e la simbologia di “530”: tra trap, vita e rinascita

    Dopo aver conquistato oltre 12 milioni di stream con “Via Libetta” ed aver collaborato con artisti internazionali come him$ e Street Active, Naver, ex membro della Shangai Blood, torna sulla scena musicale con “530” (Millenari), un intreccio di street culture e simbolismi che riflette l’essenza della sua generazione.

    In un’Italia in cui, secondo dati ISTAT, oltre il 20% dei giovani si trova in condizioni di inattività lavorativa o scolastica, intrappolato in una società che offre verdetti e poche possibilità, “530” si propone come la colonna sonora di chi non vuole più aspettare. Naver racconta la corsa di chi cerca riscatto, il confronto con giudizi costanti e la rinascita di chi sceglie di costruire il proprio destino.

    “530”, infatti, non è solo un titolo: è un manifesto generazionale. Un numero, tre capitoli della stessa storia. È un canto di battaglia urbana per chi vive in bilico tra sogni che spingono verso l’alto e realtà che tirano verso il basso. È la lotta per essere assolti da sentenze che non si meritano, la rivalsa di chi sceglie di scrivere il proprio percorso. Un progetto in cui sonorità trap innovative, curate dalla giovane promessa Shard, si intrecciano con testi taglienti e riferimenti che nessuno aveva mai osato unire prima.

    «”530” è un viaggio, una liberazione e una rinascita. È quel momento in cui capisci che il parere degli altri non può bloccarti. Devi andare, e basta.» – racconta Naver.

    “530” è un numero che racchiude in sé una molteplicità di significati e riferimenti: La Yamaha TMax 530 – scooter simbolo di libertà e velocità nelle metropoli, che è per Naver l’emblema della urban culture e della costante ricerca di movimento -, l’Articolo 530 del Codice di Procedura Penale – che riguarda la “sentenza di assoluzione”, rappresentando per l’artista la rivincita dai giudizi e dalle etichette imposte dalla società – e, il significato numerologico del 530, che, nella simbologia angelica, indica cambiamenti positivi, transizioni necessarie e incoraggiamento a intraprendere nuove strade, un segno di maturazione e crescita, perfettamente in linea con il percorso artistico e di vita di Naver.

    Tutti questi significati trovano la loro massima espressione nelle barre di “530”, nelle quali Naver mette a nudo le contraddizioni e le difficoltà quotidiane di chi vive al margine. Parole crude, ritmi serrati e immagini forti raccontano un microcosmo rapsodico e convulso, in cui fermarsi non è mai un’opzione.

    «Bevo finché non sto sobrio, fumo fino a che sto alto, corro finché non mi schianto»: “530” è il ritratto sonoro di chi vive sempre con il piede sull’acceleratore, senza tempo per un pit stop, con l’urgenza di trovare un senso tra sogni e realtà. Naver utilizza la velocità e l’adrenalina del TMax 530 come metafora della vita, quella di chi cresce in quartieri in cui ogni frenata può costare cara e l’unica possibilità è tenere il ritmo al massimo, senza voltarsi indietro.

    La produzione di Shard, avvolgente e pulsante, accompagna liriche dirette che raccontano una Roma notturna e inafferrabile, fatta di strade da percorrere e scelte da compiere. È il fotogramma di chi fugge dalle imposizioni per costruire un futuro, in una nazione che sembra non offrire alternative.

    Ma ogni corsa ha i suoi ostacoli. E quando le ruote smettono di girare, restano i volti, i giudizi e le condanne non scritte. Perché oltre la strada, quella culla dolceamara in cui il cemento custodisce desideri e delusioni, c’è il tribunale invisibile della società, pronto ad emettere sentenze senza ascoltare le storie di chi sta correndo.

    E proprio qui, “530” si fa confessione e sfida: nelle sue rime, Naver affronta a viso aperto le etichette e le aspettative preconfezionate da chi guarda senza conoscere: «Chiedo cosa commentate, uno che non conoscete? Non sapete nemmeno cosa combatte».

    Se il TMax 530 rappresenta la frenesia della vita, l’Articolo 530 del Codice di Procedura Penale introduce un tema ancora più profondo: il giudizio e l’assoluzione. In un tempo in cui il sistema sembra pronto a condannare tutto e tutti, Naver si schiera dalla parte di chi viene etichettato, processato senza appello.

    Con questa traccia, il rapper capitolino offre una riflessione lucida e attuale su questo aspetto, come lui stesso spiega:

    «”530 è per chi vive sotto giudizio, sotto accusa. Per strada, sui social, ovunque. Ma non sempre chi è accusato è colpevole. Questo pezzo è per chi cerca la sua assoluzione.»

    Un messaggio forte, privo di edulcorazioni, in linea con le discussioni contemporanee sulla cancel culture e sul diritto a una seconda possibilità, che rende “530” altamente rilevante e necessario.

    Naver si propone così come la voce di chi lotta per essere ascoltato in un mondo che preferisce voltarsi dall’altra parte e puntare il dito senza conoscere. Con “530”, racconta la quotidianità di chi è sospeso tra il desiderio di affermarsi e la battaglia per essere assolto da colpe che non gli appartengono. Un brano che non chiede permesso, ma pretende attenzione. Perché, a volte, essere assolti significa semplicemente essere compresi.

    Per Naver, questo brano, segna anche e soprattutto un momento cruciale di rinascita. Dopo la rincorsa frenetica e lo scontro con accuse costanti, arriva il momento di scegliere la propria strada: secondo la simbologia angelica, il 530 è un numero che invita al cambiamento, alla transizione e alla crescita personale. È un incoraggiamento a lasciare il passato alle spalle per intraprendere nuove vie. Un concetto che si lega perfettamente al percorso artistico e di vita del rapper:

    «Per me, 530 è un segnale – conclude -. È quel momento in cui smetti di correre per scappare e inizi a correre per costruire. È la strada che ho scelto.»

    Con “530”, NAVER supera il racconto della semplice sopravvivenza urbana e apre una nuova fase artistica, più matura e consapevole. La corsa diventa scelta, la fuga si trasforma in un viaggio verso qualcosa di edificante e desiderato. È qui che Naver si differenzia davvero: non è solo la voce della strada, ma di chi, dopo averla percorsa, sceglie di costruire qualcosa di duraturo.

    “530” diventa così l’inno di una generazione che non vuole più aspettare, che è pronta a prendersi ciò che le spetta. Senza scuse. Senza freni. Senza timori.

  • “Mon Cher”: il brano di Melissa, la vincitrice di The Voice Kids 2023, per chi vuole andare oltre i like

    A soli 14 anni, Melissa, all’anagrafe Melissa Agliottone, è già una delle voci più promettenti della scena musicale italiana. Dopo aver conquistato pubblico e critica vincendo la prima edizione di The Voice Kids su Rai 1, l’artista marchigiana ha avuto l’onore di esibirsi davanti a Papa Francesco allo Stadio Olimpico di Roma, di aprire concerti per icone come Loredana Bertè, Rettore e Rosa Chemical e di essere scelta come rappresentante italiana allo Junior Eurovision Song Contest. Ora, con il nuovo singolo “Mon Cher” (Keyrecords), prosegue il suo percorso artistico con una canzone che fotografa le relazioni basate sull’apparenza e il bisogno di autenticità in un mondo che spesso si ferma alla superficie.

    In un’epoca in cui le interazioni spesso si consumano tra notifiche e schermi, “Mon Cher” è un ritratto lucido della superficialità nei rapporti di oggi che racconta il vuoto, la sensazione di smarrimento, di chi cerca conferme negli altri senza mai trovare un reale sostegno, di chi colleziona attenzioni senza saper dare valore ai sentimenti. Avvolto dal magnetismo di un sound che alterna toni intimi e aperture più incisive, il brano immortala l’antitesi tra il desiderio di connessione e la leggerezza delle relazioni usa e getta. «Nemmeno uno sguardo, cosa vuoi da me? Se poi fai tutto questo con una, due o tre», canta Melissa in un ritornello che incalza e resta impresso, suggellato tra mente e cuore, mettendo a nudo il disagio di chi si trova a fronteggiare un amore fugace e inconsistente.

    Una riflessione generazionale su chi confonde il valore personale con il numero di elogi ricevuti, che la stessa giovanissima cantautrice spiega con queste parole:

    «Oggi sembra quasi che conti più essere notati che essere capiti. Con questa canzone ho voluto raccontare il punto di vista di chi non si accontenta di un legame superficiale, ma cerca qualcosa di vero, anche quando significa dover rinunciare a qualcuno.»

    “Mon Cher” parla alla Gen Z con un linguaggio diretto, contemporaneo, immediato. Il brano intreccia riferimenti internazionali e immagini di facile richiamo, come nell’ironia del verso «Hai la fila ma sembra diretta a Nizza, occhi azzurri, bionde e basse, ‘Je veux du ketchup sur ma pizza’», che sottolinea il contrasto tra l’apparenza e la sostanza dei rapporti moderni. Il titolo stesso, in francese, gioca con questa ambivalenza, accostando eleganza, significato e leggerezza. Un messaggio chiaro: dietro il fascino effimero si nasconde spesso il vuoto.

    Quello di Melissa è un percorso in continua crescita, che l’ha vista spaziare tra sonorità ed emozioni diverse. Dall’energia di “Africa” alla riflessione suggestiva di “Un Mondo Giusto” (feat. Ranya), fino all’allure malinconica di “Viole”, ogni brano ha rappresentato una tappa importante del suo viaggio artistico. Con “Mon Cher”, Melissa aggiunge un nuovo tassello alla sua identità musicale, dimostrando una consapevolezza sempre più solida, una padronanza vocale e scenica da vera professionista e una capacità interpretativa che va ben oltre la sua età.

    Dotata di un’abilità straordinaria per tecnica ed espressività, Melissa è una voce che emoziona e un talento che convince. Il cammino che l’ha portata alla musica è iniziato quasi per caso, come strumento per affrontare attacchi di panico, trasformandosi in una passione che l’ha rapidamente condotta sotto i riflettori.

    «Nonostante la mia età – conclude -, sento la musica come il modo più naturale per raccontare quello che provo e quello che vedo intorno a me. Con “Mon Cher” ho voluto dare voce a chi non si riconosce in un’idea di amore veloce e senza significato.»

    Con “Mon Cher”, Melissa dimostra di essere non solo una giovane artista con un potenziale straordinario, ma una cantautrice in grado di interpretare le emozioni della sua generazione con sincerità e forza comunicativa.

  • “Budapest”: Kiara canta le seconde possibilità nel suo nuovo singolo

    Cosa accade quando una città diventa il teatro di una rivoluzione personale? Con “Budapest”, Kiara ci porta sulle rive del Danubio, dove il passato lascia spazio alla rinascita e l’amore trova il coraggio di guardare avanti. Prodotto da Alessandro Di Somma e masterizzato da Stefano Crispino, il nuovo singolo della cantautrice napoletana d’adozione monzese fonde melodia e introspezione in una narrazione che parla di conferme, di scelte e del potere trasformativo dell’autenticità.

    Dopo aver conquistato con “Portami a ballare”, Kiara torna per convertire i ricordi in slancio verso il futuro. “Budapest”, fuori per PaKo Music Records con distribuzione Believe Italia, è la fotografia di un momento, la testimonianza di come i luoghi e le esperienze possano cambiare la nostra prospettiva. La voce di Kiara si intreccia a una produzione raffinata per raccontare la lotta contro le proprie ombre.

    «È durante un viaggio a Budapest che ho realizzato quanto fosse importante lasciar andare le zavorre del passato – spiega l’artista -. La città, con la sua bellezza e il suo respiro antico, mi ha permesso di fermarmi e guardarmi dentro, trovando la forza di accettare la mia storia e di costruire qualcosa di nuovo.»

    Budapest, crocevia di etnie e culture, con la sua capacità di reinventare un passato travagliato in una moderna capitale pulsante di vita, rappresenta per Kiara il luogo ideale in cui affrontare i propri fantasmi e trovare la spinta per ripartire. Tra le rive del Danubio e i suoi ponti iconici, il pezzo ci parla di un viaggio che si snoda tra ricordi, scelte e nuove possibilità, intrecciando l’anima della città a quella di chi trova dentro sé il coraggio di cambiare.

    In un momento storico in cui il cambiamento e la ricerca di nuove prospettive sono sempre più rilevanti, “Budapest” si presenta come un messaggio di speranza e autodeterminazione: lasciare andare ciò che ci appesantisce per costruire il proprio futuro. La bellezza malinconica della metropoli ungherese, fa da cornice non solo al vissuto personale di Kiara, ma a un’esperienza condivisa, un invito a tramutare il dolore in coraggio e i luoghi in ricordi indelebili.

    Nel testo, immagini e sensazioni si alternano in un mosaico di emozioni: «Barcollando per capire qual è la mia verità, giusto il tempo di soffrire, sono rotta a metà»; un verso che svela il peso di ferite ancora aperte, di una voce interiore che cerca la sua via d’uscita. Ma è nel passaggio «Pensavo che strano non provare a viverci, noi sul fiume qui a Budapest» che tutto si cristallizza: arriva il punto di svolta, l’istante in cui la consapevolezza diventa scelta, permettendo che i ricordi diventino un nuovo inizio.

    I suoni elettronici si mescolano a melodie calde, creando un’atmosfera che ricorda la città stessa: un equilibrio perfetto tra modernità e nostalgia. Questa dualità rispecchia l’anima della canzone, che si muove tra passato e presente, tra il lasciarsi andare e il decidere di restare.

    «”Budapest” è il mio sigillo, la mia conferma che, nonostante tutto, possiamo rinascere – conclude Kiara -. È una dedica a chi si sente bloccato dai ricordi, ma anche un invito a chi ha il coraggio di lasciarsi alle spalle ciò che non serve più. Non è mai troppo tardi per scegliere la propria strada.»

    Con “Budapest”, Kiara non si limita a cantare un’esperienza personale, ma ci chiama a vivere, spingendoci a riflettere su quanto sia importante non lasciare che il passato impedisca di godere del presente.

  • “Comfort Zone”: Michela Baselice firma il singolo che tutti i giovani dovrebbero ascoltare

    Cosa spinge una giovane artista a lasciare la strada sicura per inseguire ciò che teme? Michela Baselice lo sa. Dopo aver conquistato l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori duettando con Giorgia a Stasera c’è Cattelan su Rai 2, la talentuosa cantautrice campana torna con “Comfort Zone” (Daylite/The Orchard), singolo con cui racconta una scelta precisa: mettersi in discussione, quando sarebbe più facile restare immobili.

    Non è un caso che proprio lei, che ha calcato palchi prestigiosi come la Biennale di Venezia e Villa Ormond durante il Festival di Sanremo, abbia deciso di dar voce al momento in cui si deve smettere di giocare sul sicuro. “Comfort Zone” è la fotografia di quell’istante: il punto di rottura tra ciò che ci fa sentire protetti e ciò che ci permette di evolvere.

    «Cantare con Giorgia è stato un punto di svolta: un momento in cui ho capito che la paura del cambiamento è una trappola – spiega Michela -. “Comfort Zone” nasce da quella consapevolezza: il vero rischio è restare dove tutto sembra facile.»

    Ed è proprio da questa riflessione che prende forma un brano capace di raccontare un’intera generazione, sospesa tra il desiderio di esporsi e la paura di fallire.

    «Tu rimani nella comfort zone, dentro un video ma non è TikTok. Ti fai pare tipo no no stop, è un film che so»: in poche righe, Michela descrive perfettamente la realtà di molti giovani di oggi, intrappolati in un loop digitale, dove scrollare uno schermo sembra sufficiente per sentirsi vivi, ma non lo è. “Comfort Zone” parla di chi si rifugia dietro a un display, dove la ricerca di approvazione online diventa spesso una scusa per non affrontare il mondo reale.

    Michela lo racconta con un linguaggio diretto, figlio del tempo che viviamo, capace di parlare la stessa lingua di chi ascolta, senza sovrastrutture. A rendere ancora più incisivo il messaggio, è un sound pop-dance elettronico dal ritmo coinvolgente, che richiama le atmosfere da club, con il battito della musica che accompagna i pensieri di chi balla per dimenticare e lasciarsi andare, ma finisce per riflettere. Un mix sonoro che rende un tema intimo un vero e proprio grido generazionale.

    In un momento storico in cui l’immobilità sembra più rassicurante del cambiamento, “Comfort Zone” diventa il suono di chi sceglie di rischiare, di chi è pronto a uscire dal proprio porto sicuro e affrontare ciò che conta davvero.

    Ma questa traccia non offre risposte semplici. È un invito a rallentare, a guardarci dentro e trovare il coraggio di varcare quella linea invisibile che separa ciò che ci fa sentire al sicuro da ciò che può realmente farci crescere. Un’esortazione a rompere i confini autoimposti per spingerci oltre ciò che rassicura. Perché, alla fine, la domanda rimane una sola:

    Quanto siamo davvero disposti a rischiare per tutto ciò che desideriamo?

    Perché, in fondo, come ci ricorda questa traccia, le cose che contano si trovano sempre un passo oltre la linea di ciò che conosciamo.

    Abbandonare la superficie per affrontare la profondità delle proprie ambizioni: questo è il messaggio centrale, sottile ma potente, di un pezzo che parte dal dubbio, attraversa la paura e si apre alla possibilità.

    Utilizzando una relazione complicata come metafora di conflitto – «Prendo coscienza, posso stare anche senza. Questo amore è troppo rock & roll» -, Michela evidenzia l’importanza di scegliere sé stessi, anche a costo di lasciare andare ciò che rassicura ma non arricchisce.

    Una narrazione quanto mai attuale, se si considera che, secondo un’indagine dell’ISTAT del 2023, il 32,3% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni dichiara di avere paura del futuro, un sentimento ancora più marcato tra le ragazze (42,1%) rispetto ai ragazzi (23,1%).

    “Comfort Zone” diventa così un incoraggiamento ad abbandonare ciò che trattiene, per abbracciare l’incertezza del nuovo. Perché a volte, per trovare davvero sé stessi, bisogna avere il coraggio di scegliere l’incognita al posto della sicurezza.

    Per Michela, rinunciare al rischio è la scelta più pericolosa, come lei stessa dichiara:

    «Non c’è niente di più difficile che ammettere a sé stessi di essere rimasti fermi per paura. Questa canzone nasce dal momento in cui mi sono accorta che la mia comfort zone non era altro che una prigione dorata. Uscirne è stato doloroso, ma anche necessario. Voglio che chi ascolta capisca che il coraggio non è non avere paura, ma attraversarla.»

    Con “Comfort Zone” l’artista si posiziona al centro di un discorso più ampio: il bisogno di saper rischiare in un’epoca in cui la paura dell’incertezza domina le scelte di vita. Viviamo in tempi dove l’insicurezza economica, sociale ed emotiva spinge i giovani a cercare rifugi sicuri, anche a costo di spegnere le proprie ambizioni. In questo contesto, “Comfort Zone” è un appello a reagire.

    La giovane artista campana propone una nuova narrazione nella musica italiana. Michela non ama i percorsi scontati: vincitrice del MYllennium Award 2024 con “Abbassa la Cresta”, ospite in eventi di rilievo come l’Ischia Global Festival e semifinalista a Una Voce per San Marino, si è già fatta notare per la sua abilità tecnica e per saper portare sul palco racconti veri, legati ad un vissuto personale condivisibile da molti giovani. E se il duetto in TV con Giorgia è stato per molti l’inizio di una grande avventura, “Comfort Zone” è la dimostrazione che la cantautrice non ha intenzione di fermarsi.

    «Quello che ho imparato – conclude – è che non c’è mai un momento giusto per rischiare. Il momento giusto te lo crei tu, quando smetti di pensare a cosa potresti perdere e inizi a concentrarti su tutto quello che potresti trovare.»

    Con questo brano, Michela Baselice conferma che è qui per restare – fuori dalla comfort zone -, inserendosi tra le voci femminili più interessanti della nuova scena musicale italiana. Non per dichiarazioni roboanti, ma per la capacità di raccontare verità che riguardano tutti.

    “Comfort Zone” non promette certezze, ma ci ricorda quanto valga la pena provarci. Perché, come dice Michela, «la vera comfort zone è imparare a non averne bisogno». Il cambiamento spaventa, ma la staticità è molto più rischiosa.

  • “Le linee delle mani”: la nuova tappa del viaggio musicale di Gemma

    Esiste davvero il caso? O siamo tutti legati da fili invisibili tracciati molto prima che ci incontrassimo? Domande antiche, ma sempre attuali, a cui il cantautore romano Gemma cerca di dare una risposta con “Le linee delle mani” (Daylite/Altafonte Italia), il suo nuovo singolo disponibile in tutti i digital store.

    Un brano che affascina e incuriosisce, perché parla di ciò che tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti: quanto di ciò che viviamo è frutto del destino? E se le persone che incontriamo non fossero altro che tappe obbligate di un percorso già scritto, inciso sulla pelle, come tracce segrete da decifrare?

    Le linee della mano, secondo la tradizione, raccontano il nostro cammino: chi siamo e dove stiamo andando. In molte culture, da secoli, la chiromanzia cerca di leggerle e interpretarle: la linea della vita, quella del cuore, della testa. Linee che sembrano disegnate da un autore invisibile, diverse e irripetibili per ciascuno di noi, come se ogni mano custodisse una storia unica. In base ad alcune credenze, cambiano con il tempo, seguendo le scelte che facciamo e gli incontri che ci segnano, come se la vita riscrivesse continuamente il nostro percorso. Secondo uno studio pubblicato sulla Harvard Gazette, la tendenza umana a cercare spiegazioni “predestinate” per eventi significativi nasce dal bisogno di attribuire un senso all’esistenza.

    Gemma parte proprio da questa riflessione per raccontare una storia che riguarda tutti: quella degli incontri che sembrano inevitabili, e lo fa attraverso una narrazione fatta di immagini vivide e riconoscibili, dando voce a quegli intrecci personali capaci di cambiare il corso delle nostre vite.

    «Tu ci pensi mai, se fossi nata dall’altra parte della Terra, tra distanze siderali, ci incontreremmo figli di congiunzioni astrali?»: un interrogativo che suona familiare a chi ha provato a spiegare un legame che appare scritto da sempre. Gemma trasforma queste suggestioni in musica, con un sound avvolgente che accompagna l’ascoltatore in un percorso sonoro tra casualità apparente e trame invisibili tessute dal destino.

    In un mondo frammentato, in cui viviamo iperconnessi ma spesso distanti, “Le linee delle mani” ci riporta a un concetto semplice e rivoluzionario: le connessioni spontanee (quelle che sentiamo inevitabili) non hanno bisogno di algoritmi. In un recente report del Pew Research Center, emerge come oltre il 60% delle persone creda che gli incontri più significativi della loro vita siano frutto del destino o di una “forza superiore”.

    Forse non sapremo mai se tutto è scritto, ma in una contemporaneità dove tutto sembra calcolato e programmato, “Le linee delle mani” ci ricorda che alcune connessioni sfuggono a qualsiasi schema.

    «Mi ha sempre affascinato l’idea che determinate persone entrino nella nostra vita per caso, ma poi restino come se fossero sempre state lì – spiega Gemma -. Forse tutto è scritto sulle nostre mani, o forse siamo noi a decidere come leggere quelle linee. La verità? Non lo so, ma credo nella forza di quegli incontri che ti cambiano senza spiegazioni.»

    Parole semplici, ma ricche di significato. Un invito a osservare le nostre storie personali con uno sguardo nuovo, a chiederci se davvero ciò che accade lo fa per caso o se ci muoviamo, inconsapevolmente, lungo traiettorie già disegnate.

    Tra poesia e realtà, “Le linee delle mani” è anche una riflessione sui paradossi della vita: «Nello stesso cielo, alla stessa ora, c’è chi nasce e chi muore, mentre noi due, destini che si cercano.» In una sola frase, Gemma mette a fuoco una verità spesso taciuta: mentre il mondo continua il suo ciclo di opposti – vita e morte, amore e odio – ci sono storie che, contro ogni probabilità, si intrecciano. Ed è proprio in questi incontri, apparentemente casuali, che troviamo significato.

    Gemma, con un percorso musicale tra premi e palchi importanti, prosegue il suo cammino dopo i successi raccolti con “Ogni momento che passa” e “12 tocchi“, che ha emozionato per il suo inno alla gratitudine e alla vita. Con “Le linee delle mani”, l’artista romano – già vincitore del concorso europeo Yes We Sing e finalista nel contest Zocca – Paese della Musica promosso da Vasco Rossi – conferma il suo talento nel dare voce a quei pensieri che tutti, prima o poi, ci troviamo ad avere: quanto dipende da noi e quanto, invece, è già deciso?

  • Ossessione per il denaro e ansia sociale: “Dinero” è la colonna sonora della crisi

    La precarietà economica, le incertezze sul futuro lavorativo, il desiderio di riscatto e il prezzo che si paga per ottenerlo: questi sono i temi che attraversano “Dinero“, il singolo d’esordio di LOWBLOW, un brano che ridefinisce il concetto di “successo” nella società odierna, facendo luce su un mondo che idolatra il denaro ma spesso ignora i valori che dovrebbero davvero contare. Con una scrittura che non si risparmia, LOWBLOW si afferma come una delle penne più interessanti della nuova scena italiana, offrendo al pubblico un punto di vista fresco e disilluso, in grado di cogliere e tradurre in barre una tra le più gravi fonti di malessere generazionale.

    “Dinero” è uno spaccato attualissimo, un ritratto spietatamente disarmante su una realtà fatta di sacrifici, ostacoli e compromessi, in cui il conflitto tra la ricerca di ricchezza materiale e la consapevolezza che, alla fine, ciò che conta davvero non può essere comprato, diventa sempre più marcato.

    Questo scenario di incertezze e insoddisfazione si rafforza ulteriormente con un dato allarmante: attualmente, il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è sopra il 30%, una cifra che rappresenta una crescente difficoltà per i giovani, impegnati nella lotta quotidiana per trovare un posto, il loro posto, nel mondo del lavoro. “Dinero” diventa così un’analisi necessaria, che si fa ancora più concreta alla luce di questi numeri. Inoltre, secondo le ultime ricerche, la percentuale di giovani che vivono sotto la soglia di povertà è in continuo aumento, una condizione che colpisce una vasta fetta della popolazione. LOWBLOW si fa ambasciatore di queste voci, sottolineando l’illusione di una vita che può essere comprata, e spingendo a una rivalutazione dei veri valori, lontano dalla superficialità consumista.

    In un contesto dominato dalla cultura del “mostrare”, che esalta il denaro come misura di realizzazione, ma che, al contempo, svuota l’animo di chi, pur avendo tutto, si ritrova a fare i conti con un vuoto interiore che sembra impossibile da colmare, “Dinero” ci invita a prestare attenzione all’impatto di questo dualismo nelle scelte quotidiane, rivelando il prezzo, psicologico, emotivo e fisico, di questa corsa, come lo stesso LOWBLOW spiega:

    «Attraverso “Dinero”, voglio stimolare un dialogo sui simboli di realizzazione che la nostra cultura promuove incessantemente. Questo brano è un invito a guardare oltre l’aspetto materiale, riscoprendo gli aspetti della vita che arricchiscono veramente l’anima.»

    Con questa dichiarazione, l’artista sottolinea il suo impegno nel promuovere un messaggio di consapevolezza e cambiamento, e con uno sguardo impietoso sulla condizione di tanti giovani che si ritrovano a inseguire il sogno della ricchezza senza mai trovarne il vero significato, si fa portavoce di chi è stanco di vivere una vita in cui non si rispecchia.

    Ma la lezione più importante del pezzo è che, nonostante tutto, la conquista materiale non basta. «Che ci faccio se ho solo il dinero, non basterà mai» è il ritornello che accompagna l’ascoltatore in questa riflessione sulla futilità di un benessere che non ha fondamenta morali o emotive.

    Il concept grafico del singolo, con immagini coerenti e fortemente legate al messaggio del brano, completa il discorso, esaltando visivamente il contrasto tra il benessere apparente e il vuoto che ne deriva.

    «La mia musica nasce dalla vita che ho vissuto – conclude l’artista -. “Dinero” vuole far riflettere su quanto il denaro possa influenzare le nostre scelte, ma anche su quanto sia effimero, se non abbiamo una base solida di valori. Non voglio dire che i soldi non servono, ma che non sono tutto. Ciò che conta è come affrontiamo le difficoltà e quanto riusciamo a restare fedeli a noi stessi.»

    Con “Dinero”, LOWBLOW non solo si rivolge ai suoi coetanei, ma lancia una sfida al settore musicale stesso e ai media, a promuovere e dare spazio a voci che trattano temi urgenti, piuttosto che limitarsi al puro intrattenimento.