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  • Situationship: la zona grigia dell’amore raccontata dai Ferrinis

    Le luci sono quelle di New York, ma il buio in cui si muovono i protagonisti è più vicino di quanto sembri. Non si vede, ma si sente. È fatto di labbra che confondono, promesse che luccicano solo da lontano, corse senza meta dentro relazioni che iniziano già rotte. Nel nuovo singolo “Le Luci di New York”, i Ferrinis scelgono l’estetica della grande metropoli per raccontare una storia fatta di eccessi, attrazione e ambiguità. Un racconto che profuma di città, intriso di edonismo e disillusione, in cui l’immaginario del lusso si intreccia con quello della dipendenza affettiva, trasformando l’iconografia glamour in una trappola luminosa, nello specchio deformante di una generazione che ama in modalità provvisoria.

    Il brano – disponibile su tutte le piattaforme digitali – arriva dopo la pubblicazione del secondo album di Maicol e Mattia Ferrini, “Twins”, e consolida una direzione stilistica capace di unire l’efficacia della scrittura pop a una visione contemporanea e riconoscibile. “Le Luci di New York” prosegue quel discorso, ma ne isola una dimensione precisa: quella in cui l’apparenza abbaglia e il senso si perde. Con una forma espressiva ancora più spinta, quasi seriale, il brano segna un passo deciso nella costruzione di uno stile che è musicale, visivo e narrativo al tempo stesso.

    «Le luci di New York correranno più forte sulla Lambo senza stop»: è da questo verso – reiterato come un mantra – che si innesca il meccanismo del brano: una corsa a perdifiato dentro un desiderio bruciante che non conosce tregua. Una relazione che vive di notte, tra vodka, corpi sfiorati, labbra che confondono e promesse non mantenute. Il ritmo è incalzante, ipnotico, ma sotto la superficie di una notte eterna resta la sensazione che qualcosa stia per cedere, facendo intravedere il punto di rottura. Come se la festa non bastasse a coprire il rumore del vuoto.

    Tutto rimane sospeso. Le frasi si spezzano prima di diventare spiegazione, le sequenze suggeriscono qualcosa ma poi sfumano. Non c’è una direzione chiara, e forse è questo il punto. Perché certi rapporti non si spiegano: si vivono, si subiscono, si attraversano. “Le Luci di New York” prende quel caos, quella confusione e ci resta dentro. Non tenta di fare ordine, lascia tutto com’è. Crudo, discontinuo, reale.

    Il lusso non consola, il profumo inganna, le rose – come certe relazioni – hanno sempre qualcosa che punge. Il vero senso del pezzo è qui, nel territorio intermedio tra attrazione e pericolo, presenza e fuga. La scrittura lascia che siano i dettagli a fare il lavoro, tracciando un sentiero volutamente tortuoso, che rifiuta la chiarezza per restituire il sapore dolceamaro dei rapporti che non si definiscono. Perché più che raccontare, “Le Luci di New York” insinua. E lo fa lasciando aperte le frasi, come succede nelle storie d’amore che iniziano con grandi proclami e finiscono in silenzio.

    «Ci interessava lavorare su un’immagine che fosse immediatamente riconoscibile, ma usarla per dire qualcos’altro – spiegano i Ferrinis –. Le luci di New York, in questo caso, diventano il simbolo di tutte le promesse che brillano ma poi non mantengono. Ci sono rapporti che sembrano fatti per farci sentire vivi, ma che alla fine ci lasciano solo più confusi.»

    Maicol e Mattia ci riportano nel loro mondo, fatto di pop notturno e cultura visuale. Un approccio che trova la sua coerenza anche in questo pezzo, sottolineando la loro vocazione per un linguaggio sempre più ibrido, tra suono e immagine.

    Esteticamente, “Le Luci di New York” si colloca in quel filone urban-pop che dialoga con l’immaginario di serie come “Euphoria”, videoclip in stile Netflix e canzoni che sembrano scritte per accompagnare sequenze di film. Il duo forlivese spinge ancora una volta sulla direzione di una musica che sia anche visione, atmosfera, contesto. E lo fa senza rinunciare alla qualità sonora, ma senza nemmeno nascondere le zone d’ombre che attraversano i testi.

    Oggi oltre il 60% dei giovani tra i 18 e i 30 anni definisce le proprie relazioni come “instabili” o “non definite”. Lo rileva uno studio dell’Università di Stanford, pubblicato su Psychological Science, che fotografa una condizione sempre più diffusa: quella di rapporti che sfuggono a ogni etichetta, dove attrazione e ansia si sovrappongono, e l’intimità è spesso alternata da silenzi improvvisi. Un dato che conferma quanto l’indecisione e la narrazione di un amore “on/off” siano parte integrante del vissuto affettivo attuale. “Le Luci di New York” si muove dentro questa zona grigia, raccontando quello che resta quando l’amore non trova una forma, ma continua a farsi sentire.

    Una dinamica che ha un nome preciso – situationship – e che vive nei thread di Instagram, nei POV virali su TikTok, nei post di psicologi relazionali e nelle confessioni anonime sulle riviste online. Non è una storia d’amore né una semplice frequentazione: è un limbo affettivo, spesso intenso, quasi sempre instabile.

    “Le Luci di New York” lo racconta senza puntare a compiacere e senza voler essere una semplice canzone da club. Parte da immagini patinate, ma le usa per parlare di quello che c’è dietro: il vuoto, il desiderio che arde ma consuma, l’ambiguità. È un racconto disilluso e al contempo seduttivo, che usa i codici della notte e del lusso per scavare nel silenzio distruttivo che talvolta resta dopo la festa. Perché a volte, la confusione è già una forma di narrazione.

    Una fotografia pop, lucida e contemporanea, di ciò che succede quando l’apparenza sovrasta il contenuto, quando il bisogno di sentirsi desiderati diventa più forte del bisogno di sentirsi capiti.

    «Non siamo mai stati interessati a raccontare l’amore perfetto – concludono i Ferrinis –. Preferiamo mostrare le ombre, i contrasti, le verità a metà. Forse perché sono proprio quelle a farci riflettere di più su chi siamo davvero.»

    Tra vetrine luminose e copertine lucide, soffermarsi su ciò che resta in ombra – o su quello che riflette per errore – è una scelta consapevole. Perché in un tempo in cui tutto sembra dover brillare, il coraggio sta anche nel mostrare quello che la luce non illumina.

  • Con l’album “Twins”, i Ferrinis trasformano la vita quotidiana in un racconto a quattro mani

    «Siamo in fissa con la nostra storia, ogni sequenza è scritta da noi due»: bastano questi versi per inquadrare l’anima di “Twins”, il nuovo album del duo di fratelli forlivesi Ferrinis, una fotografia nitida della loro generazione dal taglio cinematografico.

    Dieci tracce che somigliano a episodi di un film scritto insieme – anche quando i protagonisti sembrano andare in direzioni opposte. Nessuna scorciatoia: solo relazioni imperfette, assenze come altalene di sensazioni, desideri che si contraddicono, notti che iniziano con un bacio e finiscono con un addio.

    Nel pieno di una stagione musicale sempre più improntata alla viralità e all’effimero, “Twins” sceglie un’altra strada. L’album tiene insieme i fili di una narrazione coerente, tanto nel linguaggio quanto nelle immagini: ogni brano è un frammento scritto a quattro mani, con la precisione di chi conosce bene le proprie fragilità e ha scelto di trasformarle in canzoni.

    Perché “Twins” non è solo una somma di storie, ma una voce che si fa in due. Non un punto di vista doppio, ma uno solo, condiviso. Nei brani, i Ferrinis portano il loro sguardo tra i chiaroscuri dell’amore, mettendo in scena legami sbagliati al momento giusto, addii mai risolti e ritorni che sembrano sogni.

    Non spiegano: mostrano. E lo fanno con istantanee che arrivano prima delle parole. Rapporti che si sfiorano, si consumano, a volte si salvano. L’amore, qui, non viene raccontato: viene ripreso nei dettagli, come se lo vedessimo da dietro una finestra.

    Ed è proprio da quella finestra che inizia “Twins”: con l’inedito “Il Nostro Film”, un’apertura che imposta subito lo sguardo. «Ricominciamo a scrivere il nostro film, tra momenti indelebili ed errori cancellabili». Le relazioni diventano un set da cui fuggire o in cui ritrovarsi, un piano sequenza interrotto che cerca ancora un finale. Una storia che si può riscrivere – anche quando sembra troppo tardi – se si ha il coraggio di farlo insieme.

    Ogni traccia è uno scorcio da cui si entra e si esce con angolature diverse. C’è il disincanto di “Coca e Malibù”, dove il vuoto è mascherato dallo scintillio dei social «Brillano i diamanti ma non brilla il mondo. Vuoto, vuoto, vuoto, tutto il resto dentro». E c’è la sensualità di “Labbra al Curry”, tra viaggi improvvisi, corpi che si sfiorano e sapori che restano addosso.

    Poi arrivano le promesse a metà voce. Quelle che si fanno guardando l’alba, quando tutto sembra possibile ma niente è davvero certo. “Aspettami” è una canzone che non parla esclusivamente di chi si allontana da qualcuno, ma anche di chi parte senza perdere il legame con ciò che è stato. «Aspettami dove sorge il sole, dopo una notte da ricordare, con una storia da raccontare». Non è solo un appello all’altro, ma a se stessi. Un modo per dire che si può cambiare città, paese, vita, ma restare fedeli a ciò che ci ha formati. Per non dimenticare chi eravamo, anche quando il futuro corre più veloce di noi.

    Una tracklist attraversata da ritorni imprevisti, notti che si riaccendono e frasi lasciate in sospeso. Con una scrittura fatta di slanci diretti e riferimenti pop – «Far l’amore è come un luna park» (da “Caldo Atomico”) – i Ferrinis incorniciano frammenti di relazione senza ingabbiarli, lasciando che parlino da soli. C’è leggerezza, ma anche tagli netti. Ci sono cliché che si rompono, e verità che affiorano proprio quando smetti di cercarle. Il loro è un mondo pieno di contrasti: iconico e quotidiano, fragile e diretto, personale ma condivisibile.

    E quando l’istinto prende il sopravvento sulla ragione, lo fa senza chiedere permesso. In “Lussuria e Desiderio”, la voce si fa corpo, e il corpo si fa dubbio. Attrazione e distanza si mescolano senza trovare tregua, come se ogni gesto fosse destinato a non durare: «Vorrei restare ma non riesco a trattenermi, non riesco a difendermi». In “Rollercoaster”, tutto rota attorno ai saliscendi emotivi di una relazione instabile. “Poche Ore”, raccoglie quello che resta quando il tempo si accorcia. “Aspettavo Questa Notte” è una corsa a perdifiato verso qualcosa che, forse, non tornerà più.

    Una progressione che rivela uno dei tratti più riconoscibili del disco: non c’è una linea narrativa unica, ma un intreccio continuo tra momenti sparsi e connessioni che riaffiorano. Una dicotomia che diventa stile, tra passato e presente, velocità e nostalgia.

    In “Senza Lieto Fine”, la chiusura dell’album, tutto si stringe in un epilogo sospeso, con un tono quasi elegiaco: «Come una melodia senza lieto fine, mi sa solo consumare. Niente mi può dare pace». Maicol e Mattia Ferrini immortalano l’esatto punto in cui qualcosa si spezza. Senza consolazioni, ma raccontando la verità di molti capolinea sentimentali contemporanei: quelli che non arrivano mai davvero. Una finale che non chiude, ma rilancia. Come se l’ultima scena non fosse ancora stata scritta.

    Perché certe assenze fanno più rumore di qualsiasi presenza.

    E se ciò accade, è perché continuano a parlarci anche quando tutto tace. Con “Twins”, Maicol e Mattia non cercano l’effetto immediato, ma lasciano spazio a ciò che torna. A ciò che resta.

    «Volevamo fare un disco che non avesse bisogno di essere spiegato – dichiarano -. “Twins” è nato come una finestra sul nostro mondo. È un album fatto di errori, ritorni, notti che sembrano infinite e frasi che ci siamo detti davvero. Ogni pezzo è un ricordo, una voce che ti risuona in testa quando meno te lo aspetti. Abbiamo scritto cercando la verità, anche quando fa male. Non volevamo dare risposte, ma fare spazio alle domande. A quello che succede quando pensi che sia tutto finito e invece no. La musica ti ci riporta, anche quando non vuoi.»

    In un’epoca in cui tutto è istantaneo, “Twins” prende tempo. Tra notti che sembrano durare due ore e rapporti che implodono prima di definirsi, i Ferrinis scelgono un linguaggio fatto di frasi concrete, immagini forti, emozioni riconoscibili.

    La contemporaneità che raccontano è quella in cui vivere ogni giorno «come fosse l’ultimo» (da “Poche ore”) significa anche perdere il senso del costruire, del fermarsi, del capire. In questo, il disco si inserisce in una riflessione più ampia: sulla fragilità della presenza, sulla permanenza del ricordo, sulla difficoltà di distinguere ciò che è passato da ciò che ancora abita dentro.

    Un disco che ha il passo del presente, ma guarda lontano.  “Twins” è il risultato di un’identità che non cerca mai una definizione netta. I Ferrinis non somigliano a nessuno, perché il loro sguardo è interno: si muove tra scene di vita, pensieri lasciati a metà, e ritornelli che sembrano messaggi vocali mai inviati.

    Con “Twins”, aprono un nuovo capitolo, in cui l’equilibrio tra immaginario pop e scrittura personale diventa cifra narrativa. E mentre tutto si consuma in poche ore, loro lo scrivono, lo cantano, lo mettono in scena. Senza pretese, ma con la voglia di dire: questa storia, forse, l’hai vissuta anche tu.

    Perché come affermano i due fratelli in conclusione, «Non importa se la storia è finita: ciò che ti rimane dentro, a volte, è più forte di quello che vivi davvero».

    “Twins” – Tracklist:

    1. Il Nostro Film
    2. Rollercoaster
    3. Lussuria e Desiderio
    4. Poche Ore
    5. Aspettami
    6. Aspettavo Questa Notte
    7. Caldo Atomico
    8. Coca e Malibù
    9. Labbra al Curry
    10. Senza Lieto Fine

  • I Ferrinis danno voce a chi parte senza spezzare il legame con la propria terra

    Si può essere lontani, ma mai davvero distanti. Alcuni legami resistono al tempo, ai chilometri e ai cambiamenti. “Aspettami”, il nuovo singolo dei Ferrinis, è il racconto di un viaggio, di una promessa mantenuta nonostante le partenze. Il duo forlivese, che ha conquistato pubblico e critica con un sound dinamico e testi che sono lo specchio della società in cui viviamo, torna con il terzo estratto dal loro prossimo album “Twins”.

    Se con “Coca e Malibù” hanno denunciato l’ossessione per l’apparenza e il senso di vuoto generato dalla cultura dell’immagine, e con “Lussuria e Desiderio” hanno affrontato senza filtri il tradimento, non limitandosi a evocare passioni proibite ma restituendo una fotografia lucida di una crisi relazionale diffusa e documentata, Maicol e Mattia, con “Aspettami”, cambiano registro, senza rinunciare alla loro cifra stilistica: si concentrano sulla resistenza degli affetti, sul valore di chi resta e di chi va via senza dimenticare da dove viene.

    Più che una semplice ballata, “Aspettami” è il ritratto di una generazione in movimento, alla ricerca di nuovi orizzonti con un filo invisibile che la riporta sempre a casa. Una generazione che, dati alla mano, continua a spostarsi, ma sceglie di non recidere mai il legame con le proprie origini. Secondo un recente report dell’ISTAT, negli ultimi dieci anni il numero di giovani italiani che si sono trasferiti all’estero è aumentato del 30%, un fenomeno che racconta le ambizioni di chi cerca altrove opportunità che spesso mancano nel proprio paese, ma anche la nostalgia di chi parte portandosi dietro il peso – e la bellezza – delle proprie radici.

    Lontani per necessità, ma vicini per volontà. Il viaggio, in “Aspettami”, non è solo una decisione, ma una condizione sempre più comune. Se un tempo vivere altrove significava chiudere un capitolo, oggi la distanza non spezza, ma ridefinisce i rapporti. I giovani italiani che scelgono di trasferirsi non si allontanano davvero: restano legati alla propria terra, la portano con sé nelle abitudini, nella lingua, nella musica. I Ferrinis raccontano questo bisogno di andare oltre senza dimenticare ciò che ci ha formati in uno dei versi più rappresentativi del brano: «Cresciuti in questo posto in periferia che ci sembrava stretto, sognando di cambiare tutto.» Un frammento di vita reale, il ritratto di chi guarda avanti senza perdere ciò che lo definisce.

    “Aspettami” è un’istantanea di questa realtà: il ritornello, «Aspettami dove sorge il sole, dopo una notte da ricordare, con una storia da raccontare» – racchiude l’essenza di una promessa. Quella di riconoscersi, nonostante la distanza, il tempo e i cambiamenti.

    Le comunità italiane all’estero crescono e si rafforzano, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione e alla volontà di mantenere viva l’identità culturale. Dall’aumento di festival italiani in giro per il mondo, alla crescita delle comunità digitali di expat, fino al ritorno alle tradizioni da parte di chi vive fuori, il senso di appartenenza si esprime in modi nuovi, più dinamici e consapevoli.

    E la musica, che è da sempre il linguaggio del dinamismo generazionale, è la forma d’arte perfetta per raccontare questo legame sospeso tra sogni e radici. Se in passato le canzoni di emigrazione raccontavano nostalgia e malinconia, ora si fanno portavoce di una nuova consapevolezza: quella di chi sceglie di esplorare nuovi sentieri, ma non si sente mai davvero lontano da quello originario. I Ferrinis riescono a tradurre questa condizione con un linguaggio immediato, privo di retorica, restituendo un’idea di distanza che non divide, ma unisce.

    Un brano come “Aspettami” non parla solo di chi va via, ma anche di chi rimane. Di chi aspetta un ritorno, di chi tiene vivo un legame anche quando le coordinate cambiano. È un messaggio che mai come oggi echeggia forte, in un’epoca in cui il concetto di “casa” è sempre più fluido e il senso di comunità non è più solo geografico, ma identitario.

    «Quando parti, pensi che tutto resti uguale – spiegano Maicol e Mattia Ferrini -, ma quando torni ti accorgi che anche le persone cambiano. Noi volevamo raccontare quella sensazione di straniamento, ma anche la certezza che certi legami restano indissolubili. Ci sono rapporti che vanno oltre il tempo e lo spazio: quelli che, anche a distanza, continuano a farti sentire a casa.»

    I Ferrinis non inseguono tendenze, ma percorrono un tragitto chiaro, basato su una cifra musicale riconoscibile e una scrittura che parla in modo diretto al pubblico. La loro capacità di unire melodia e storytelling li ha resi una delle realtà più interessanti del panorama musicale italiano, e “Aspettami”, non si limita a un discorso discografico, ma si fa linguaggio ed emblema di un’epoca, il punto di contatto con chi vive la propria evoluzione senza dimenticare chi è davvero, tra chi cambia e chi resta fedele a sé stesso.

    Il singolo, accompagnato dal videoclip ufficiale – girato al Misano World Circuit Marco Simoncelli sotto la direzione di Alessandro Murdaca e in uscita venerdì 28 marzo – anticipa “Twins”, secondo progetto full length del duo che raccoglierà dieci tracce, ognuna con una direzione ben definita. Un progetto che va oltre la semplice sequenza di brani, costruendo un percorso sonoro e narrativo in equilibrio tra elettronica e pop. Gli arrangiamenti non cercano la superficie, ma la sostanza, puntando a un impatto che resta anche dopo l’ultimo ascolto.

    «Con “Twins” vogliamo raccontare le nostre esperienze, le nostre sensazioni, il nostro modo di vedere il mondo – concludono i Ferrinis -. Ogni canzone è un pezzo di noi.»

    “Aspettami” è un manifesto di appartenenza, una canzone parla a chi ha vissuto il distacco, ma sa che certi legami non si dissolvono. Perché chi è parte di noi non se ne va mai davvero.