“Where’d You Go Someday”: una ballata rock che chiede conto al nostro silenzio

«Il coraggio è l’impronta delle paure». C’è una generazione che ha smesso di reagire. Che abbassa lo sguardo, anche quando a crollare sono i diritti, anche quando a pagarne il prezzo sono i figli. È da questa crepa nel tessuto sociale che parte “Where’d You Go Someday”, il nuovo singolo di Piero Campi, cantautore tarantino d’adozione fiorentina e da anni parte attiva della scena bolognese. Un brano ruvido, diretto, costruito su un sound rock asciutto e internazionale, prodotto e suonato al basso da Marco Schnabl (Think Ahead Studio) con la collaborazione del producer statunitense Analog Tears (Diego Carlo Magno, da Seattle) che ha curato le chitarre e di Andrea Rizzi alla batteria.

Dopo l’album d’esordio “Tutto Tace”, il cantautore pugliese rompe il silenzio, chiedendo un nuovo sguardo sul presente. Un presente in cui l’indignazione si è fatta sussurro e la ribellione una posa estetica. Campi rimette al centro una domanda scomoda: che fine ha fatto il coraggio? E lo fa con una scrittura che non cerca scorciatoie, ma affonda nei paradossi dei giorni nostri:

«Parlano di rivoluzione, ma si è fermi come coglioni!»

In poche righe, una fotografia lucida e spietata. “Where’d You Go Someday” si nutre di contraddizioni, denunciando una generazione in bilico tra memoria e stallo, tra la voglia di cambiare e la paura di fallire ancora. Senza proclami, ma con onesta concretezza.

«Non volevo un brano che consolasse – spiega l’artista -. Ho scritto questo pezzo in un momento in cui mi sembrava che tutto stesse scivolando nel silenzio: le proteste, i diritti, la coscienza civile. Mi sono chiesto se anche io stessi iniziando a far parte di quel silenzio. È da lì che è nata questa canzone.»

Una denuncia, ma anche un esame di coscienza. “Where’d You Go Someday” è attraversato da immagini nette e parole dure, capaci di cogliere un’apatia che si è fatta normalità. Non c’è retorica, ma una richiesta implicita di responsabilità, soprattutto verso chi verrà dopo, nei confronti di «un figlio in attesa di un mondo senza eroi».

Perché, come spiega lo stesso Campi, «Siamo diventati spettatori anche quando si tratta del futuro dei nostri figli». Un’affermazione che assume i tratti di un monito, in una contemporaneità in cui l’indifferenza sembra prevalere. E se, come recita il verso-mantra della traccia, «il coraggio è l’impronta delle paure», allora questa canzone è il tentativo di non farle dissolvere nell’abitudine, restituendo loro presenza e memoria.

“Where’d You Go Someday” si inserisce perfettamente in un momento storico segnato da un crescente senso di impotenza generazionale. Secondo un recente studio del Pew Research Center, il 57% dei giovani adulti si dichiara “rassegnato all’idea che le proteste non servano a cambiare nulla”. Dato che si riflette in una cultura in cui la rinuncia ha preso il posto della lotta e in episodi recenti, come la sospensione di 17 studenti a Milano per un’occupazione pacifica di un’ora, o le minacce legali rivolte all’artista Badiucao per le sue opere politicamente provocatorie. In questo contesto, Campi non propone soluzioni, ma prova almeno a riaccendere una coscienza collettiva sopita: «Posso ancora immaginare questo mondo senza odiare».

Ad accompagnare il brano, il videoclip ufficiale, presentato in anteprima nazionale su Sky TG24 e girato negli spazi scuri e simbolici dell’Ottostudio di Bologna, sotto l’attenta direzione di Cristian Spinelli. Al centro della scena, lo stesso Campi, una figura in controluce attraversata da un fascio di luce. Nessun effetto narrativo, solo un’immagine: quella di una via d’uscita possibile, ma non garantita.

Un’unica inquadratura, una regia minimale ed emblematica, in cui l’immobilità diventa messaggio: la via d’uscita non è scenografica. È una possibilità. Ma per scorgerla, bisogna alzare lo sguardo, proprio come suggerisce il testo:

«Basterebbe solo alzare lo sguardo, o almeno provare ad avere il coraggio.»

Piero Campi nasce a Taranto nel 1982. La musica è da sempre il suo linguaggio privilegiato: dagli esordi con i Dharma, band protagonista della scena pugliese premiata in numerosi festival, fino al percorso solista che lo porta a Bologna. Qui incontra Lucio Dalla, che lo incoraggia a riscrivere partendo da una voce più personale e diretta. Da allora, il suo stile si evolve, tra rock viscerale e una scrittura che non cerca compiacimento, ma verità.

Nel 2008 il singolo “Parole” entra nei circuiti nazionali di Virgin RadioRadio 105 e Kiss Kiss. Seguono partecipazioni a progetti collettivi, come “Aut – Artisti Uniti per Taranto” contro l’inquinamento ambientale, e diversi riconoscimenti da parte della critica e della stampa.

«Non cerco eroi, e non mi interessa farmi ascoltare a tutti i costi – conclude -. Ma credo che oggi ci sia bisogno di qualcuno che dica ad alta voce quello che molti pensano. Se anche uno solo si riconosce in questa canzone, per me ha già fatto il suo giro completo.»

“Where’d You Go Someday” non è un canto di protesta. È un gesto di responsabilità. Non solleva bandiere, ma domande. E nel farlo, ci costringe ad ascoltare ciò che il rumore ha coperto troppo a lungo: il nostro silenzio.