Un brano corale per raccontare ciò che la tradizione natalizia non riesce più a contenere

«È ancora Natale, ma mi fa così male vedere la neve posare e mescolarsi con la cenere. E mi chiedo se mi senti sotto questi bombardamenti, tra i silenzi ed i lamenti di un Natale che c’è stato portato via». Con queste parole, Mario Signorile apre un brano che porta il Natale fuori dai suoi confini abituali e lo colloca dove la festa non esiste più. “È ancora Natale” nasce dalla scelta di affidare il racconto a una lettera immaginaria scritta da bambini rifugiati, costretti a misurarsi con un mondo che ha sottratto loro ogni riferimento e la spensieratezza tipica di un’età costretta a fare i conti con quello che non dovrebbe mai riguardarla.

Il canto è condiviso con il coro dell’Accademia Musicale Battista Bia, arricchito da voci che Signorile e il produttore Lorenzo Lorusso hanno preparato e seguito una per una. Non c’è nulla che miri a smussare o addolcire, ma bambini che parlano della guerra come possono, e un adulto che presta voce alla figura del volontario, che Signorile interpreta senza sottrarre spazio al coro, lasciando che sia quest’ultimo a guidare la narrazione.

L’operazione musicale oltrepassa il sentimentalismo e tocca un punto scoperto dell’attualità. L’artista non mette in musica un quadro generico di sofferenza, ma inserisce la festività nel contesto drammatico della crisi migratoria globale. Secondo i dati UNHCR, il 2024 si è chiuso con oltre 123 milioni di persone in fuga, di cui circa il 40% minorenni costretti ad abbandonare la propria casa.

“È ancora Natale” si rivolge a quel milione di bambini che — come riportato da UNICEF e Save the Children — vivono in aree di conflitto attivo, trasformando la “vera magia” dell’infanzia in una frase che non necessita commenti: «Ho disegnato un albero con la polvere di fango». L’essenzialità brutale diventa la cifra di una traccia che rifiuta qualsiasi edulcorazione e riassume un’infanzia che osserva il conflitto attraverso ciò che ha a disposizione.

La presenza dell’adulto volontario rende il brano un omaggio necessario a migliaia di operatori che lavorano nelle aree di emergenza. Figure che, fuori dai riflettori, operano nel silenzio ascoltando, sostenendo e salvando milioni di persone in tutto il mondo. Per Signorile e Lorusso, l’insegnamento delle parti ai bambini è stato un piccolo riflesso di quel meccanismo: dedicare tempo a chi è stato privato di tutto.

Il riferimento a “Happy Xmas (War Is Over)” di John Lennon è stato inevitabile. Il brano del 1971 apparteneva a un’epoca in cui la speranza di una tregua era pensabile; quello di Signorile nasce in anni in cui la guerra attraversa lo spazio delle festività senza interrompersi. L’accostamento tra immagini tradizionali («le campane suonare, e le stelle brillare») e quelle del conflitto («gli allarmi strillare, e non so più se pregare») crea una dissonanza che racconta cinquant’anni di promesse non mantenute. La Tregua di Natale del 1914, citata dall’artista, fu un lampo isolato di umanità: oggi, l’unico appello alla tregua sembra arrivare dall’arte, non dal fronte.

Il videoclip ufficiale sceglie una direzione coerente. Girato nel Palazzetto dello Sport di Carbonara (Bari) — spazio quotidiano di un quartiere — trasforma un luogo familiare in un punto di riparo. Ci sono bambini, adulti e una lettera letta con la compostezza delle situazioni reali di emergenza. Il progetto, autofinanziato, è stato reso possibile grazie alla generosità del Presidente del Carbonara Volley, Vittorio Scagliarini, che ha concesso le riprese all’interno dell’edificio.

“È ancora Natale” mette a confronto due realtà che raramente dialogano: la tradizione che continua a raccontare la festa come un tempo sereno e un presente che in molte parti del mondo non conosce tregue. Il brano non cerca una sintesi, ma le accosta e lascia che a chiudere siano le parole finali:

«Caro Babbo Natale, so che è troppo quel che chiedo, ma se il mondo avesse cuore fermerei questo dolore. Ma è ancora Natale e ho unito le loro voci: porta un po’ di pace ed un mondo migliore.»

Una chiusura che affida al Natale l’unica richiesta possibile in un tempo come questo.