Tra meme e maschere, Ruggero Ricci cerca l’amore in un mare di squali, anzi: di “Pescicani”

«Mi sono svegliato morto, in equilibrio sui binari». Non è un’immagine dark da effetto speciale, ma l’istantanea di uno stato mentale: quello di chi vive sospeso tra il bisogno di sentirsi vivo e la stanchezza di doverlo dimostrare. È così che si apre “Pescicani” (Snow Records/ADA Music/Warner Music Italy), il nuovo singolo di Ruggero Ricci. A metà tra flusso di coscienza e immaginario pop, il brano si muove su ritmi indie-reggae, con suggestioni visionarie e sfumature ironiche, facendo luce sul disorientamento identitario dei venti-trentenni di oggi.

“Pescicani” è il ritratto, volutamente instabile, di una generazione che galleggia tra scroll compulsivi, relazioni interrotte e una voglia sottile ma feroce di sparire per reinventarsi. Un carosello di emozioni spiazzante, lucidamente caotico.

Il titolo rimanda a figure ambigue, opportuniste, predatrici. Ma nel mondo narrativo creato da Ruggero, i “pescicani” diventano il simbolo grottesco di una festa in cui si balla per dimenticare, si ride per fuggire e si finge per sopravvivere. Una festa che sembra essere diventata il teatro abituale dei giovani adulti: un luogo di evasione, alienazione, performance.

«Ho voglia di fingermi un santo, ho voglia di essere un mostro». Un desiderio duplice e antitetico, che riassume bene lo stato d’animo del protagonista: spinto a cambiare forma, identità, linguaggio, senza mai davvero trovare una direzione. In “Pescicani”, non c’è una narrazione lineare: il testo è un quadro frammentato, dove il tempo si rompe, i toni saltano da un’estremità all’altra, e ogni singola parola può diventare una maschera da indossare o un grido trattenuto. Il senso di alienazione si traduce in parole che non cercano coerenza, ma aderiscono al disordine – emotivo, esistenziale, comunicativo -, in cui non è difficile riconoscersi.

Tra i temi centrali: la crisi identitaria, l’incomunicabilità, il bisogno di evasione. «Navighiamo tra cuori di plastica, se ci sei, tu dimmi che ci sei»: un verso che è la sintesi di legami che sembrano sempre più vuoti, finti, svuotati di senso. Quello di Ruggero è un diario interrotto, fatto di tentativi, fughe immaginate e parole lasciate a metà. Un racconto senza morale né soluzione, in cui la confusione non è un ostacolo ma il paesaggio naturale di chi cresce cercando legami, connessioni, in un mondo fatto di distanze.

In un tempo in cui l’identità è sempre più uno spettacolo da condividere e i ruoli cambiano al ritmo degli algoritmi, “Pescicani”, prodotto da Massimiliano Giorgetti (Majorizm Lab) e Tia Snow, attraversa il rumore di fondo di una generazione che scorre tra maschere digitali e silenzi mai davvero vuoti, quelli di chi cerca se stesso tra scroll compulsivi, inseguendo un punto fermo in mezzo al caos.

Il brano gioca con riferimenti alla cultura pop, tra tormentoni e cliché affettivi e linguistici del presente: «Tieniti pronto per entrare a Hollywood», «Dire, fare, baciare, ghostare», «bla bla bla bla pubblicità». Ma sotto la superficie ironica, resta l’amaro di chi si guarda vivere, consapevole di stare sempre un po’ in scena. Si intravede il disagio di un presente in cui tutto sembra recitato — anche la fatica di esserci davvero — e prende forma una domanda implicita: cosa resta di noi, nel rapporto costante con i social, la spettacolarizzazione, il bisogno di interpretare un ruolo?

«In tutte queste settimane ho avuto voglia di smettere di recitare – dichiara Ricci -. Ho scritto “Pescicani” come se fosse un sogno febbrile: ci ho messo dentro immagini che mi hanno attraversato mentre provavo a capirmi. Non volevo dare risposte, solo far vedere il disordine con sincerità.»

Nel testo compaiono sogni surreali, come il bungee jumping tra le scuse di una storia finita, e scene quotidiane – «hai parcheggiato fuori mano» – che si mischiano a derive dai toni poetici, visioni che sembrano venire da un dormiveglia inquieto, con uno stile che preferisce la contraddizione alla coerenza. La voce dell’artista diventa quella di molti che, in un presente frammentato, cercano di affermarsi anche quando non sanno chi sono, di esistere anche senza sapere esattamente chi stanno diventando.

«Mi piace pensare che questa canzone possa essere accolta anche da chi ogni tanto si sente fuori posto, o ha voglia di sparire per poi reinventarsi – conclude l’artista -. Non ho scritto per spiegarmi, ma per condividere quel momento assurdo in cui ti rendi conto che non ti riconosci più.»

“Pescicani”, accompagnato dal videoclip ufficiale in uscita martedì 13 maggio per la regia di Andrea Artioli e la fotografia di Bronny, è un piccolo caos ragionato, un disordine lucido, un affresco contemporaneo tra malinconia e urgenza di essere ascoltati, capiti. Un ritratto onesto e irriverente di chi si sente perso e lo dice ad alta voce, di chi si vede fuori asse e sceglie di dirlo senza paura. Più che spiegare una condizione, la canzone ne mette a nudo la forma: quella di un presente che sembra sempre sul punto di rompersi, o di ricominciare.