“Asia respira”: la canzone che mostra cosa resta del trauma quando l’infanzia è stata violata

Ci sono storie che non dovrebbero esistere e che invece rientrano nei numeri che ogni anno segnano le statistiche italiane degli abusi sui minori. Secondo le rilevazioni più recenti dell’autorità giudiziaria e dei centri dedicati alla tutela dei minori, oltre la metà delle vittime di violenza sessuale ha meno di quattordici anni. È una realtà che si alimenta nel silenzio, nella vergogna e nell’omertà; che si annida dentro le case, nelle abitudini quotidiane, nei sorrisi forzati che nessuno sa interpretare. “Asia respira”, il nuovo singolo di Asia Morellini, racconta quello che l’artista ha vissuto in prima persona a soli sette anni e il modo in cui quell’esperienza continua a incidere sulla sua vita adulta.

La prima immagine è quella di una bambina che interpreta come un gioco ciò che gioco non è. «Per me il letto serve per dormire» è una frase che non ha bisogno di essere spiegata, che rappresenta in maniera straziante la distanza tra la percezione di chi subisce e ciò che l’adulto compie. Un confine che non andrebbe mai superato, quello tra innocenza e violenza, tra chi non ha ancora gli strumenti per leggere il mondo e chi invece lo legge distorto, piegando l’ingenuità di chi ha davanti verso un comportamento che non appartiene all’età infantile né a qualsiasi età in assenza di una reale possibilità di scelta. Questo è uno dei punti più difficili del brano, perché il non detto racconta più di ogni ulteriore dettaglio e segna il passaggio in cui una bambina comprende qualcosa che non dovrebbe riguardarla.

La scrittura di Asia si sofferma poi ai suoi dieci anni, quando il corpo ha cominciato a reagire prima ancora che la mente fosse in grado di interpretare l’accaduto. «Non so, mi scappa, ho qualcosa di rotto» racchiude in maniera drammatica il sintomo che arriva prima della consapevolezza, un segno che emerge senza che nessuno, attorno, sappia leggerlo.

Molteplici studi sul trauma infantile — dalle ricerche di Bessel van der Kolk sulla memoria corporea (The Body Keeps the Score) ai lavori di Judith Herman e Bruce Perry sulla risposta fisiologica ai traumi precoci — mostrano come il corpo reagisca prima della mente ed esprima quello che non trova ancora un linguaggio in cui essere detto. È per questo che, in molti bambini, compaiono segnali che sembrano scollegati dall’abuso: sintomi discreti, difficili da interpretare, che gli adulti liquidano come “fasi”, “capricci”, “sensazioni passeggere”. In realtà sono le prime incrinature di un equilibrio che, in assenza di uno sguardo clinico, nessuno è in grado di leggere.

La parte centrale del brano è forse la più difficile da ascoltare: «non mi puoi toccare oppure comincio a tremare». È qui che il presente si riempie di un passato che non ha ricevuto il nome e il supporto giusti al momento giusto. La vita adulta viene attraversata da reazioni che non appartengono alla situazione corrente, ma a ciò che è rimasto cristallizzato anni prima. Il trauma mostra così la sua natura più silenziosa, perché non si manifesta attraverso il ricordo, ma in una risposta immediata, fisiologica, che interrompe la continuità dell’esperienza.

Anche per questo la testimonianza di Asia assume un’importanza che va oltre il racconto personale. Non resta circoscritta alla dimensione individuale, perché anziché limitarsi a raccontare la tragicità dell’evento, entra in un territorio raramente affrontato nella musica italiana, quello delle conseguenze che un abuso lascia nel tempo. “Asia respira” diventa uno spazio in cui è possibile osservare la sedimentazione del trauma, la sua persistenza, la sua capacità di intervenire nella vita adulta con un riverbero e una potenza che non hanno bisogno di essere esplicitati per essere riconosciuti.

La ripetizione di «respira» nel testo non è una formula di auto-incoraggiamento, ma il tentativo di riportare il corpo nel presente, di recuperare un ritmo che l’abuso ha alterato e che, a distanza di anni, continua a interrompersi. «Non respiro, lui non va via», al contempo, rappresenta l’affiorare di una reazione istantanea, la prova di quanto il passato continui a interferire con la vita adulta anche quando la mente tenta di procedere oltre.

Questa dinamica è ampiamente documentata nella letteratura sul trauma infantile: dalle ricerche di Peter Levine, che ha descritto come le reazioni corporee residue (“unfinished defensive responses”) riaffiorino a distanza di anni, a quelle di Allan Schore, noto per i suoi studi sulla regolazione emotiva e sul modo in cui i traumi precoci vengono registrati a livello neurobiologico, tutte le analisi convergono su un punto: ciò che non può essere raccontato a parole trova spesso espressione attraverso il corpo, che anticipa la mente e ne condiziona il presente. La memoria non si manifesta sempre mediante immagini nitide, ma tramite scosse improvvise, irrigidimenti, sensazioni corporee che si presentano senza preavviso. È la logica del trauma precoce, che spesso ritorna come risposta fisiologica prima ancora che come pensiero o emozione riconoscibile.

“Asia respira”, composto dalla stessa artista a quattro mani con Christian Galli e prodotto da Kelly e SamLover, è un brano scritto non per commuovere, ma per rivelare come un trauma infantile possa attraversare gli anni senza perdere intensità, incidendo sulle relazioni, sull’intimità, sulla percezione di sé. È la traduzione musicale di un fenomeno che chi lavora con le vittime conosce molto bene: l’oscillazione continua tra ciò che è stato e ciò che si prova a vivere, la fatica di riabituarsi alla “normalità”, il bisogno di generare un respiro che appartenga finalmente all’oggi.

Un brano coraggioso che vuole portare nel dibattito socio-culturale un tema che ancora troppo spesso rimane confinato nella vita privata, o peggio, nel non detto. Un brano che chiede il riconoscimento morale, umano e civile della portata di quello che succede quando ciò che dovrebbe essere protetto viene violato: perché le conseguenze non riguardano solo l’infanzia, ma tutto ciò che viene dopo.