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  • Voce, AI e autorialità: perché il percorso di GIVO interessa la filiera più della polemica sui cantanti sintetici

    Una nuova generazione di artisti, negli ultimi tempi, sta rinegoziando il rapporto con la propria voce: non solo metaforicamente, ma anche in senso letterale. GIVO, autore reggiano attivo nella scena da diversi anni, è tra i primi a trasformare questo passaggio in un processo creativo concreto, utilizzando una voce generata tramite intelligenza artificiale modellata sul proprio timbro naturale. Una fase preparatoria, supportata da studio e lavoro mirato, pensata per accompagnare l’ingresso della sua voce reale nell’esecuzione dei brani che firma.

    Questa scelta non alimenta il dibattito già esausto sui “cantanti sintetici”, ma introduce un tema diverso, più attuale e più complesso, quello della costruzione dell’identità sonora come percorso, anziché come punto di partenza.

    L’aspetto più rilevante sta nel modo in cui GIVO usa questo passaggio. La voce generata non vuole essere una firma stilistica, ma un luogo di lavoro, un ambiente in cui testare sfumature, intenzioni, respiri, finché la sua voce naturale non sarà pronta a sostenerli.

    E c’è un altro elemento che rende questa scelta interessante per chi osserva la discografia dall’interno: GIVO arriva dalla scrittura e rivendica il valore dell’autore come figura autonoma, distinta dall’interprete. La voce sintetica diventa così una cerniera temporanea che gli permette di dare forma ai brani senza forzare un’identità vocale che sta ancora costruendo, mostrando come si possa scrivere per sé senza obbligatoriamente incarnare subito ciò che si firma, e senza togliere dignità al ruolo degli interpreti.

    La sua direzione cambia la prospettiva abituale, perché non parte dal timbro per costruirgli attorno un suono, un’immagine, un intero progetto, ma lascia che sia la scrittura a indicare quale voce dovrà sostenerla. Un metodo che, pur essendo parte del lavoro quotidiano di molti autori, raramente viene portato al centro del discorso. GIVO lo mette in luce dentro un contesto urban ed evita che resti un passaggio tecnico, rendendolo un’occasione per interrogarsi su come prende forma l’identità vocale di chi scrive.

    Negli ultimi due anni, l’ingresso dell’intelligenza artificiale nel campo vocale è diventato uno dei fronti più discussi dell’industria musicale internazionale. L’IFPI, nel suo Global Music Report 2024, segnala una crescita netta dei progetti che integrano processi vocali avanzati, soprattutto nelle scene urban e nelle produzioni indipendenti, dove la voce viene trattata come un materiale su cui lavorare e non come un elemento immutabile. Analisi parallele — da Loud & Clear di Spotify ai dossier “Music in the AI Era” di Goldman Sachs — confermano questa direzione: la definizione dell’identità vocale non coincide più necessariamente con la voce biologica dell’artista, ma entra in un’area intermedia in cui tecnologia, scrittura e ricerca timbrica dialogano.

    Una zona che in Italia resta poco esplorata e che rende il caso di GIVO particolarmente interessante anche per chi osserva il mercato da un punto di vista culturale e non solo musicale.

    Il suo nuovo singolo, “Paranoia Chic”, rappresenta il punto di sintesi di questo discorso. L’incipit — «Sto bene ma solo in apparenza» — introduce un testo fatto di immagini brevi. Lacrime che “sanno di Chanel”, “ghiaccio negli occhi”, “una città che ha perso ogni blink” sono tutte metafore volte a descrivere più uno stato mentale che una storia, e che si inseriscono perfettamente nel percorso che l’artista sta costruendo da mesi: una scrittura che riporta ciò che sente quando lo sente, onesta rispetto al momento in cui nasce.

    Il brano, che si collega ai capitoli precedenti — “Neve sulle Nike”, “Messaggi alle 2”, “Fumo e Sirene” — forma un’evoluzione coerente in cui solitudine, amori intermittenti e storie quotidiane occupano un proprio spazio.

    La parte più rilevante rimane però la questione vocale: un artista che usa la sintesi vocale per modellare il proprio timbro e arrivare, con maggiore consapevolezza, alla propria voce reale. Non si tratta di un espediente tecnico, ma di un’apertura a un tema nuovo nel comparto musicale italiano:

    come cambia la percezione dell’autorialità quando la voce non è più solo uno strumento ma un territorio da raggiungere; una meta e non un presupposto?

    GIVO, con i suoi brani, apre una discussione più ampia su rappresentazione, controllo di sé e sul modo in cui oggi un artista costruisce il proprio suono, collocandosi nel punto in cui scrittura, immaginario e ricerca vocale convergono.

    In studio, mentre riascolta le tracce isolate della sua voce sintetica e annota sul telefono le variazioni da provare nel take successivo, si legge con chiarezza la direzione che sta seguendo: la voce non come punto di partenza, ma come esito di un lavoro che ha bisogno di tempo, tentativi, strati successivi. E lì, in quel margine tra provvisorietà e intenzione, si sta formando la sua cifra distintiva.