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  • Non una semplice love song: “Last Time” è un brano necessario

    C’è sempre un momento in cui ci diciamo che sarà l’ultima volta. Che sapremo resistere. Che non cederemo più. Poi, come in un riflesso familiare, torniamo indietro. Basta uno sguardo, un ricordo, una mancanza. E quel “mai più” si trasforma in “ancora una volta”. “Last Time”, il nuovo singolo di OARA – nome d’arte di Eleonora Albrecht, attrice, modella, cantautrice e DJ con base tra Roma e Parigi – nasce proprio da questo cortocircuito tra cuore e ragione. Disponibile in doppia versione (original e remix a cura di KeeJay Freak), il brano racconta quel punto di rottura in cui il desiderio prende il sopravvento sulla volontà.

    Una traccia che affonda nelle zone grigie dell’affettività, in una dinamica relazionale spesso taciuta: la forza irrazionale dell’attrazione, il ritorno ciclico verso ciò da cui sappiamo di doverci allontanare. Non c’è redenzione, solo la consapevolezza amara di un copione che si ripete, sempre uguale, anche quando proviamo a sottrarci, intrappolati tra ciò che vorremmo e ciò che sappiamo non potremo mai avere.

    Con un sound che richiama le cromature internazionali di Purple Disco Machine e le geometrie pop di Dua Lipa, OARA distilla una storia personale in un pezzo che unisce l’eleganza della scrittura all’efficacia della pista. “Last Time” è una canzone che parla d’amore, ma anche di autocoscienza: racconta la sensazione di impotenza che si risveglia quando ci si innamora della persona sbagliata, e la lucida cognizione che anche la passione più grande può diventare un vicolo cieco.

    Un brano estivo ma malinconico, che tratta un tema antico con uno sguardo attuale: la dipendenza affettiva. L’illusione di poter gestire qualcosa che, per sua natura, sfugge.

    «L’ho scritto pensando a tutte quelle situazioni che ci attirano come calamite, anche se sappiamo che ci faranno male. Quelle storie in cui sappiamo benissimo che non potrà esserci un futuro, ma restiamo comunque lì – racconta OARA –. Ci diciamo che non accadrà più, ma spesso è solo una promessa a metà. È un loop da cui è difficile uscire, eppure è lì che impariamo a conoscerci meglio.»

    È proprio qui che si riconosce la cifra stilistica di OARA: una punta di nostalgia nelle parole, intrecciata a sonorità ballabili che non cercano la leggerezza a tutti i costi, ma sanno contenerla. Un equilibrio misurato e prezioso, in cui scrittura e ritmo dialogano senza annullarsi.

    “Last Time” è ispirato anche a storie vissute da chi le è vicino, tra cui quella di una sua amica innamorata di un uomo già impegnato:

    «Sapeva di non poter costruire nulla con lui, ma non riusciva a lasciarlo andare. In questi casi, bisogna ritrovare la forza in sé stessi. Non per orgoglio, ma per sopravvivenza», aggiunge l’artista.

    Da qui nasce anche uno sguardo più ampio, una riflessione sul ruolo delle donne all’interno di queste dinamiche:

    «Voglio che chi ascolta si senta capita, ma anche spronata – conclude OARA -. Non siamo destinate a restare ferme in ruoli che non ci appartengono: possiamo scegliere di rimetterci in cammino, di rialzarci. Prima che diventi l’abitudine, o il timore di rimanere sole, a scegliere al posto nostro. Lo dico a me stessa, e alle mie amiche, ogni volta che serve.»

    Secondo uno studio pubblicato nel 2024 dalla rivista State of Mind, la dipendenza affettiva patologica riguarda circa il 12% della popolazione adulta italiana in terapia psicologica, con una prevalenza femminile significativa. Una cifra che, seppur circoscritta al contesto clinico, suggerisce un fenomeno molto più esteso e spesso invisibile, che attraversa ogni fascia d’età e condizione sociale. Un dato che fotografa parzialmente il problema: la dipendenza affettiva resta infatti in larga parte sommersa, vissuta in silenzio da chi non riconosce o non dichiara il proprio disagio. In molti casi, si tratta di relazioni in cui uno dei partner fatica a interrompere legami che generano sofferenza, pur riconoscendone la natura disfunzionale. Le implicazioni psicologiche sono ampie: dall’ansia da abbandono all’abbassamento dell’autostima, fino a forme di isolamento emotivo che possono durare anni.

    È un tema ancora poco raccontato, ma sempre più diffuso, come dimostrano anche le crescenti richieste di supporto presso centri psicologici e consultori. In questo contesto, canzoni come “Last Time” contribuiscono a portare alla luce dinamiche molto personali che spesso restano in ombra: storie in cui riconoscersi è il primo passo per uscirne.

    Anche quando si veste di suoni pensati per il dancefloor, il brano non tradisce la sua natura più intima. Il remix di KeeJay Freak, produttore noto nel panorama dance europeo, rilegge la struttura originale e le conferisce un respiro da club estivo. Ma dietro il ritmo, il pezzo continua a portarsi dietro le domande da cui è nato, senza alleggerirne il senso: lo sposta altrove, ma non lo dissolve.

    Lo stesso vale per il testo, co-scritto da OARA in sinergia con un team di autori fidati, che alterna immagini sensuali a momenti di resa:

    «You’re gonna crush another soul. Move your body let it go. I just wanna lose control»
    Stai per schiacciare un’altra anima. Muovi il tuo corpo, lascialo andare. Voglio solo perdere il controllo»)

    Un verso che cristallizza la dinamica affettiva alla base del progetto: non è la mancanza di volontà a renderci fragili, ma l’illusione di poter gestire il desiderio come fosse razionale. La volontà che cede, il corpo che anticipa il pensiero, la solitudine che sopravvive all’amore.

    Quella di OARA è una carriera che spazia tra moda, cinema e club. Nata come attrice e modella, con una formazione internazionale tra Parigi, Londra e Los Angeles, ha fatto il suo esordio musicale nel 2022 con “Sono in vacanza”, affermandosi come cantautrice capace di unire immediatezza radiofonica e sensibilità narrativa. Dal 2023 suona anche come DJ, portando nei suoi set un mix di elettronica, pop e atmosfere retrò, ispirandosi a icone internazionali come Kylie Minogue.

    Negli ultimi due anni ha pubblicato singoli come “Un bacio blu”, “Je danse” e “Odette”, brano dedicato alla madre – ex étoile del Teatro dell’Opera – e alla bellezza della danza classica. Il suo universo musicale è un intreccio di esperienze e identità: italiano e francese, cinema e musica, palco e pista da ballo.

    Ma è con “Last Time” – accompagnato dai due videoclip ufficiali, dedicati rispettivamente alla versione originale e al remix e presentati in anteprima su Sky TG24 – che OARA tocca un tema trasversale, attuale, intergenerazionale: quello dell’amore sbilanciato, del desiderio che sfugge al controllo, e del bisogno di ritrovare se stessi fuori dalla dipendenza affettiva. In una contemporaneità in cui le relazioni si consumano spesso tra messaggi vocali e notifiche, la sua è una voce che invita a fermarsi e a fare i conti con ciò che davvero ci lega – e ci libera.

  • La musica dei ColliMare tra spoken word e cantautorato

    Cosa succede mentre aspetti una risposta sullo schermo? A volte, una canzone. “Sta scrivendo…” è il nuovo singolo del collettivo ColliMare, disponibile su tutti i digital store per Watt Musik. Il brano prende il titolo dall’indicazione che compare quando qualcuno sta per risponderci in chat. Ma anziché raccontare l’amore nato online, o il cuore spezzato da messaggio letto e mai risposto, fotografa l’attimo prima del coraggio. Quel momento in cui decidiamo se aspettare, scappare o finalmente esporci.

    Un modo nuovo di raccontare quello che proviamo, quando non sappiamo come dirlo. Una canzone nata da un gesto qualunque. E da una domanda che ci riguarda tutti.

    «Volevamo partire da una cosa minuscola, quotidiana – dichiarano i ColliMare -. Quei tre puntini che ci fissano e ci fanno immaginare mille risposte. O mille silenzi. Da lì è nato tutto.»

    Loro sono il duo BellaNotte, Slat ed Edgar Allan Pop: quattro artisti attivi da anni tra musica, teatro e sperimentazione. Hanno deciso di unire le forze e fondare il collettivo ColliMare, un progetto nato tra le colline e il mare della Romagna. Non una band, ma una formazione a geometria variabile che fa della diversità stilistica un punto di partenza. Lo stesso nome, suggerisce anche l’intenzione di far collimare differenze: geografiche, artistiche, personali. Senza etichette, senza classificazioni. La vera idea di collettivo: non quella che unifica, ma quella che tiene insieme. E in cui le singole identità non si annullano, ma si arricchiscono a vicenda.

    Nessuna forma prestabilita da rispettare, nessun algoritmo da assecondare.

    «Veniamo da ambienti diversi e da linguaggi non sempre riconosciuti – affermano –. Ma vogliamo suonare insieme, senza snaturarci e senza forzature. In fondo, anche i nostri live sono così: spontanei, mai uguali.»

    Il brano, registrato negli studi Atomic di Longiano (FC) e prodotto da Enrico Zavalloni, fonde scrittura cantautorale, spoken word e beat elettronici, senza rincorrere o incasellarsi in una scena o un genere.

    “Sta scrivendo…” è un ibrido sonoro essenziale, che accoglie i piccoli timori contemporanei e li trasforma in ritmo, immagine e narrazione.

    Al centro, un’inversione di senso, uno scarto semantico che somiglia al modo in cui ci parliamo oggi: veloce, ironico, ma pieno di cose non dette.

    «Tu sei l’influenza che voglio prendere»

    Un verso che parla di una scelta: quella di lasciarsi attraversare, anche da ciò che fa paura. E in fondo, è questa la direzione che prende tutto il brano: rimanere dove normalmente si evita di stare.

    Secondo Statista (2023), più del 70% delle comunicazioni sentimentali tra under 35 in Italia avviene via messaggio. Una connessione continua, che però non toglie le incertezze. I ColliMare partono proprio da qui: dal paradosso di essere sempre connessi, ma ancora incapaci di dirsi le cose davvero.

    «La nostra generazione si racconta a pezzetti, in chat, in note vocali, in like. Ma ogni tanto serve qualcuno che raccolga quei frammenti e li metta in musica, anche con un beat sotto.»

    “Sta scrivendo…” parte dall’idea che la canzone d’autore possa ancora essere una forma di pensiero – anche nel mondo digitale. Senza nostalgia, solo con il coraggio di restare in quel momento sospeso, prima che le parole arrivino.

    La copertina del singolo richiama l’estetica delle app di messaggistica, ma in controluce: come se qualcosa stesse per succedere, ma non ancora.

    Nel testo si parla di ansia, crescita, distanza e disattenzione. Ma anche di unione, di passaggi generazionali, e di libertà.

    In un’estate piena di canzoni che parlano di leggerezza, “Sta scrivendo…” sceglie di aspettare un attimo in più prima di parlare. E in quel tempo – sospeso, digitale, umano – prova a raccontare chi siamo, quando ancora non sappiamo come dirlo.

  • Quando a parlare è il cane abbandonato: Ciaro emoziona e scuote le coscienze

    C’è un momento, ogni anno, che si ripete con drammatica puntualità. Con l’arrivo dell’estate, come un rituale crudele, le città si svuotano, mentre le strade e le campagne si riempiono di silenzi assordanti. Ma qualcuno resta. Resta a guardare una porta chiusa, un’auto che si allontana, portando con sé una bugia travestita da amore. Sono gli animali abbandonati. Quelli che aspettano, senza sapere cosa hanno sbagliato.

    È da questa straziante attesa che nasce “Non lasciarmi qui”, il nuovo singolo di Ciaro, al secolo Giulia Ciaroni, che sarà presentato in anteprima assoluta domenica 29 giugno a Torino, durante una speciale giornata dedicata alla lotta contro l’abbandono degli animali – tra testimonianze, musica e impegno collettivo – e sarà reso disponibile su tutti i digital store lunedì 30 giugno.

    Il brano, scritto dal punto di vista del cane, è un grido d’aiuto. È la voce spezzata di chi non può parlare, ma può solo aspettare. Guardare. Soffrire.

    È lui che parla. È lui che resta fermo, lì dove l’hanno lasciato.
    Non giudica. Non serba rancore. Chiede solo di non essere dimenticato. E di essere amato.

    Non è la descrizione dell’abbandono: è l’abbandono. Lo vive, lo attraversa, dall’inizio alla fine.

    Nato dall’urgenza di sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle piaghe più dolorose del nostro tempo, il brano – primo singolo del collettivo Almae Music – sceglie di dare parola a chi solitamente resta fuori da ogni racconto: chi subisce.
    Non chi lo osserva, non chi lo combatte.
    Ma chi resta, fermo, dove l’hanno lasciato.

    Scritto da Giulia Ciaroni (Ciaro) e Francesca Pogliano, con la produzione di Giacomo Bertozzini per Almae Music, le edizioni di Victoria Music e accompagnato dal videoclip ufficiale – disponibile dal 4 luglio – diretto da Livia Lavagno per Leevia Production, “Non lasciarmi qui” è una finestra sulla solitudine.
    Dall’attesa alla delusione. Dal ricordo al vuoto.

    L’abbandono degli animali domestici è una tragedia che ogni estate si ripete con numeri allarmanti e in costante crescita. Secondo i più recenti dati raccolti da ENPA, nel corso del 2024 sono stati accuditi oltre 274.000 animali abbandonati, un aumento del 55% rispetto ai 176.633 registrati nel 2023.
    Una tendenza che nel 2025, già nei primi mesi, mostra segnali preoccupanti di continuità.

    In Italia, ogni estate, vengono abbandonati in media 130.000 animali domestici, tra cani, gatti e altre specie, con una stima di oltre 380 animali al giorno. Molti finiscono in strada, altri vengono ceduti ai rifugi già sovraffollati, pochi riescono a trovare una nuova casa.
    I più, semplicemente, spariscono dal radar della coscienza collettiva.

    L’abbandono resta un reato punibile per legge, ma la sua diffusione capillare e spesso invisibile lo trasforma in una violenza normalizzata.

    Una ferita che si riapre ogni estate, senza mai rimarginarsi davvero.

    Ma per far sì che un messaggio non sia solo un effimero slogan, non basta indignarsi. E non basta nemmeno scriverlo o cantarlo: bisogna portarlo dove può fare la differenza.

    È così che nasce l’evento benefico del 29 giugno a Torino – presso la Cittadella NIDA in Via degli Ulivi 11, a partire dalle ore 16:00 – pensato per trasformare lo sdegno in responsabilità, consapevolezza e impegno, e la musica in un gesto concreto.
    Una giornata aperta a tutti, in cui parole, esperienze e volti si intrecceranno per raccontare ciò che spesso resta ai margini: la vita di chi è stato abbandonato.

    Tra i protagonisti della giornata, personaggi noti e influencer che hanno aderito senza esitazione, mettendo a disposizione la propria presenza e sensibilità. Tra i tanti: Diego e Klea, Gabriele Genovese, Letizia Petris (Finalista Grande Fratello 2024), Elisa De Angeli (Toelettatrice/influencer), Mirko Darar (Italias Got Talent- il mio cane parla- comico/educatore cinofilo), Dott. Diego Rendini (comportamentalista – Università di Torino), Maris Noorhani (addestratrice cinofila E.N.C.I.), Dott.ssa Adriana Tugnoli (psicologa) e il celebre Dj Bruno Power.

    Insieme a loro, numerosi rifugi, canili, associazioni e professionisti del settore. Tra le realtà a livello nazionale, spicca l’adesione di AICAS, impegnata da anni nella tutela e nella difesa degli animali.

    A unire la musica al gesto, resta la voce di Ciaro:

    «Ho scritto questa canzone – dichiara -, cercando di mettermi nei panni di chi non può raccontare il dolore che prova. Volevo che a parlare fosse il cane, con la sua attesa, con il suo sguardo. Non è un brano realizzato per commuovere, ma per far pensare. Se anche una sola persona, ascoltandola, si fermerà prima di andarsene… allora sarà servito a qualcosa.»

    Ciaro ci invita a riflettere, a provare empatia. Perché a volte, basta poco per cambiare le cose: un’azione, una scelta, una presa di coscienza.

    E la musica, ancora una volta, si conferma uno degli strumenti più immediati per arrivare al cuore. Per dare voce, in prima persona, a chi voce non ne ha.

    “Non lasciarmi qui” è una canzone, sì. Ma è anche un movimento.
    Uno spazio sicuro per chi non può difendersi.
    Un atto d’amore.
    Perché l’amore vero… non abbandona, mai.

  • Un pezzo di storia della musica guida le nuove generazioni su GRP: Miki Del Prete e il format “Talent”

    Un’occasione rara per ascoltare storie di musica vissuta, ma anche per farsi ascoltare: da sabato 8 giugno, Miki Del Prete – autore di alcuni dei brani più iconici della musica italiana – sarà ospite fisso di Music “Talent”, il programma condotto da Donato Riva ogni sabato sera dalle 20:30 su Radio GRP.

    Dopo una carriera leggendaria come autore Tv, produttore discografico, paroliere e manager al fianco del Molleggiato – e non solo -, Del Prete torna a parlare di musica come ha sempre fatto: con passione, ironia e occhio critico. Ogni settimana commenterà i brani in gara con Efrem Sagrada e Marco Sacco, condividendo aneddoti e offrendo consigli preziosi ai giovani artisti in ascolto.

    Nato da un’idea di Efrem Sagrada e Marco Sacco Markino Dj, in collaborazione con Superstar Records, Seven-Holding London e Radio GRP, il progetto “Talent” rilancia un format creato oltre 15 anni fa da Efrem Sagrada – allora ex a.d. della Giack Celentano’s-Club Srl -, che oggi viene rinnovato per offrire visibilità concreta a cantanti e band emergenti. In palio: una produzione discografica con distribuzione.

    Autore di hit come “Il ragazzo della via Gluck”, “Nessuno mi può giudicare” “La coppia più bella del mondo”, “Impazzivo per te”, Storia D’ Amore”,

    Miki Del Prete ha attraversato 60 anni di musica italiana con uno stile inconfondibile. Con Music “Talent”, sceglie di rimettersi in gioco al microfono, questa volta per ascoltare.

    Efrem Sagrada: produttore musicale e televisivo, manager e organizzatore di eventi in Italia ed estero, inizia il suo percorso nel 1993 accanto a Giacomo Celentano. Dal 1994 collabora con Miki Del Prete, dando vita a una lunga sinergia professionale, dal 1997 al 2000 divide gli uffici oltre che con Del Prete anche con Giancarlo Spezia ex Phillip Morris (Muratti – Marlboro). Tra il 2000 e il 2009 cura tour promozionali per brand come Campari, Stock, Illy Caffè e altre multinazionali di food e beverage tramite Master Consulting, oltre a produrre dischi per volti noti della televisione. È stato cofondatore con Miki Del Prete della Giack Celentano’s Club Srl, ha organizzato grandi eventi internazionali con Artisti del calibro di Al Bano e Romina Power, Andrea Bocelli, Mike Tyson e tanti altri, oggi guida Seven-Holding London– con sedi a Londra e Milano – occupandosi di produzioni musicali, televisive, concerti, eventi, promozioni e strategie di marketing per artisti e aziende.

    Cantanti e band possono candidarsi gratuitamente inviando il proprio materiale a: management@seven-holding.com i casting sono gratuiti e si terranno a settembre 2025 presso gli studi Tv di Video Project in Via Santa Maria 93/95 Cologno Monzese, la data sarà comunicata 15 giorni prima tramite social e pagine casting tipo: passionecasting o seven london.

    «Ho scritto canzoni per chi ha fatto la storia della musica italiana. Ora voglio ascoltare chi la farà domani» – Miki Del Prete.

    Al progetto collaborano:

    Donato Riva:
    Speaker di Radio GRP, la musica lo ha fatto avvicinare al mondo della radio già in adolescenza, quando tutti ambivano alle grandi realtà nazionali radiofoniche, il suo più grande desiderio era condurre un programma su Radio.
    Il suo motto? La Musica è Vita e ” Talent” è Musica.
    Con oltre 392.000 ascoltatori settimanali e copertura capillare tra Torino, Cuneo, Biella, Alessandria e Valle di Susa, Radio GRP è il punto di riferimento per la musica pop dagli anni ’80 a oggi. Un partner ideale per dare voce al talento.

    Marco Sacco Markino Dj: E un DJ e producer torinese, inizia la carriera a metà anni ’90 firmando produzioni dance per etichette nazionali e internazionali. Con il tempo amplia il proprio stile, spaziano tra chill out, pop, rap e musica italiana. Ha collaborato con numerosi artisti sia italiani che stranieri, costruendo un’identità sonora versatile e riconoscibile.

  • Roma lo conosce già, ora è il momento di ascoltarlo davvero: DannyZ torna con “Tutto mio”

    C’è chi rappa per moda, chi per sfogo, e poi c’è chi lo fa perché non ha altra scelta. DannyZ, classe 2004, non è mai stato il tipo da scorciatoie. Quando a 11 anni gli hanno detto che avrebbe dovuto reimparare a camminare, non ha chiesto quanto ci avrebbe messo. Ha abbassato la testa e ha iniziato. Passo dopo passo, terapia dopo terapia. E ora che ha imparato a stare in piedi, “a camminare due volte”, nessuno lo farà più sedere.

    Così lo hanno definito giornali, radio e tv.
    “Il rapper che ha imparato a camminare due volte.”
    Un appellativo che non è solo una formula riuscita, ma una verità che ha fatto il giro dei media e si è fatta strada tra un pubblico sempre più vasto.
    Perché la storia di DannyZ – romano, cresciuto tra tutori e fisioterapia – è una di quelle che non si dimenticano, se la ascolti davvero. E ogni volta che torna, non lo fa per occupare spazio. Lo fa per guadagnarselo.

    Con “Tutto mio”, il suo nuovo singolo disponibile in tutti i digital store, DannyZ non bussa. Entra. E lo fa con il peso di chi ha qualcosa da dire. Il suo è un rap che cerca conferme, le brucia. Un rap che non è alla ricerca di consensi: li affronta di petto e li mette da parte.

    Dopo “Sempre Più Su”, brano che raccontava il suo percorso fisico e interiore come un campo di battaglia, il giovane artista capitolino torna con un pezzo viscerale, diretto, privo di alibi. Un pezzo che non fa sconti, che non ha paura di dire le cose come stanno. E in cui ogni rima pesa quanto un metro di asfalto percorso a fatica. È il suono di chi ha mangiato amaro, e ora si prende tutto. Senza chiedere permesso.

    Nelle barre di “Tutto mio”, DannyZ mette in chiaro da che parte sta:

    «Non voglio il flex, voglio il rispetto»

    Non si tratta di uno slogan ben costruito, ma di una sorta di mantra, da tenere stretto per affermarlo in faccia al mondo. Una linea netta tra chi ostenta e chi resiste. Un confine tracciato a voce ferma, quando tutto intorno ci ha abituati a far rumore per non dire niente. Perché certe frasi non basta scriverle: succedono. E quando succedono, non hanno bisogno di spiegazioni.

    Nato prematuro a 25 settimane, cresciuto tra corsie d’ospedale, tutori e fisioterapia, DannyZ ha fatto del suo corpo una prova vivente di volontà. Ogni movimento che oggi riesce a compiere è frutto di fatica, e ogni sua release porta il segno di quella strada.

    La disabilità non è un tema che “affronta”: è parte della sua storia. Non la esibisce, non la nasconde. Fa quello che tutti dovremmo imparare a fare: viverla con naturalezza, senza trasformarla in un’etichetta. E fa anche ciò che molti evitano: la tratta per quello che è — una parte di sé, non la sua definizione.

    In “Tutto mio” non c’è l’ostentazione, né il bisogno di compiacere. Non è rap d’intrattenimento.
    Non ci sono catene d’oro, solo catene spezzate.
    Non c’è bling bling, ma cicatrici esibite allo stesso modo, come medaglie.

    C’è rabbia, sì. Ma non quella sterile.
    È lucidissima, pulita, necessaria.

    Il beat spinge, ma è la voce che comanda: cruda, vissuta, mai artefatta.

    Nelle barre c’è fame. Ma non di hype, fame vera. Di riscatto, di concretezza, di verità.

    «Non cerco flash, non cerco gloria.
    Voglio che il mio nome resti nella storia.»

    Non è un’ambizione da rotocalco: è la voce di chi ha scelto di restare in piedi, anche quando sarebbe stato molto più semplice sedersi e lasciarsi andare — e lo ha fatto con il doppio della fatica degli altri.
    Di chi scrive ogni singola parola sul terreno che ha già calpestato.
    E che ora pretende solo una cosa: essere ascoltato per ciò che è, non per ciò che appare.

    In una scena dove l’immagine pesa più della parola, DannyZ rallenta e mette a fuoco.
    Ricorda che il rispetto non si compra, si guadagna.
    Che i like non valgono una mano tesa, uno sguardo sincero, qualcuno che resta quando gli altri spariscono.
    E che essere se stessi – oggi – è forse l’atto più street e rivoluzionario che ci sia.

    “Tutto mio” è una pagina. Ma non di quelle scritte al computer: di quelle scritte sulle ossa. Di quelle che raccontano chi siamo stati e tracciano la traiettoria verso chi vogliamo diventare. È un pezzo che non cerca lacrime né applausi, ma vuole solo farsi sentire da chi è disposto ad ascoltare. Perché chi ha imparato a camminare due volte non ha più paura di inciampare.

  • Roma ospita il debutto di AETERNA Academy: tra editoria e audiovisivo

    Imparare a raccontare una storia non è solo un esercizio creativo: è un atto culturale. E in un’epoca in cui narrare significa anche orientare, emozionare, connettere, nasce AETERNA Academy, il ramo formativo di AETERNA S.r.l. – realtà già attiva nel mondo dell’audiovisivo come creative media studio e oggi anche promotrice di corsi, masterclass e residenze in tutta Italia.

    Un progetto pensato per unire progettualità e mestiere, portando nelle aule l’esperienza concreta di professionisti che operano ogni giorno nel cinema, nella scrittura e nello storytelling contemporaneo.

    Il primo appuntamento si terrà a Roma il 12 e 13 luglio, con lo “Storytelling Workshop” guidato da due professionisti della scena narrativa contemporanea: Alessio Posar (sceneggiatore, editor e docente alla Scuola Holden) e Paula Boschi, sceneggiatrice e responsabile sviluppo live-action per Colorado Film che ha supervisionato l’adattamento cinematografico de “Il Fabbricante di Lacrime”.

    «Non siamo solo un Creative Media Studio: organizziamo masterclass, corsi e residenze in tutta Italia per offrire a studenti, appassionati ed esperti la possibilità di apprendere dai migliori – spiega Matteo Raffaelli, founder di AETERNA S.r.l. -. Pensiamo che il sapere pratico, condiviso da chi esercita realmente una professione, sia oggi più che mai necessario. È da questa visione che nasce AETERNA Academy.»

    Il workshop – aperto a soli 18 partecipanti – si concentrerà sull’arte del racconto: come strutturare una trama, costruire personaggi credibili, creare tensione narrativa e rendere un’idea una storia efficace, sia per il cinema che per la narrativa. Due giornate intensive nella suggestiva Sala Margana (Piazza Margana 41, Roma), per un totale di 10 ore di formazione pratica.

    A condurre il laboratorio sarà Alessio Posar, autore e editor, che da anni lavora a fianco di scrittori e sceneggiatori, oltre che insegnare alla Scuola Holden. La masterclass finale sarà affidata a Paula Boschi, figura di riferimento per l’adattamento cinematografico in Italia e co-autrice – con Posar – della serie editoriale “Giulietta e Romeo Untold”.

    Il workshop si rivolge a chi ha una storia in mente ma non sa da dove partire, a chi ha già cominciato ma ha bisogno di strumenti concreti per completare e revisionare il proprio progetto narrativo. Che si tratti di un romanzo, una sceneggiatura o una serie, l’obiettivo è dare struttura, direzione e consapevolezza al processo creativo.

    Le iscrizioni sono aperte fino al 3 luglio 2025, tramite email all’indirizzo: academy@aeternamedia.it

    Un’occasione formativa preziosa, che inaugura il percorso di AETERNA Academy con un segnale chiaro: investire sulle storie, oggi, è investire sul futuro.

    INFORMAZIONI DI SERVIZIO:

    Date: 12 e 13 luglio 2025
    Luogo: Sala Margana – Piazza Margana 41, Roma
    Orari: 10.00–13.00 e 14.00–16.00
    Monte ore: 10 ore totali
    Posti disponibili: max 18 iscritti
    Iscrizioni: entro il 3 luglio scrivendo a academy@aeternamedia.it

  • Due sconosciuti che ballano coi piedi sul muro: la scena più iconica di “Gelato alla Crema” di Marino Alberti

    C’è una scena, dentro “Gelato alla Crema”, che potrebbe sintetizzare un’intera filmografia: due sconosciuti che ballano con i piedi sul muro. Un’immagine quasi surreale, in cui la tenerezza è destabilizzante e l’equilibrio si perde per scelta. Con questo nuovo singolo, apripista del secondo album di inediti “300 KM/H“, Marino Alberti – cantautore e polistrumentista da oltre 2,5 milioni di stream – torna con un controcanto volutamente disarmato, che racconta la vertigine di ciò che finisce prima ancora di iniziare.

    Oggi, persino l’amore sembra avere una scadenza. Deve essere immediato, performante, risolutivo, “Gelato alla Crema” ha quel sapore un po’ rétro e un po’ da film d’autore, descrivendo un incontro che non ti aspetti, di quelli che restano sulla pelle più del previsto. Le “parole al limone” – così le definisce Alberti nel brano -, sono dissonanti ma complementari: il lato pungente della dolcezza, l’acidità che bilancia l’istinto. Un retrogusto dolce-amaro di ciò che passa in fretta ma non se ne va davvero.

    Il gelato rassicura, come quei baci che scaldano solo per un istante, ma poi svaniscono nel nulla. Il limone, invece, pizzica la bocca: è una verità detta con il sorriso. Non è la classica relazione, è più una collisione. Lei entra in scena senza chiedere permesso, lo guarda, e lui si sente improvvisamente fuori posto. E forse, proprio per questo, si innamora.

    La protagonista è una donna che arriva come un temporale estivo: elegante, ironica, imprevedibile. Cammina come se la città fosse una passerella, parla come se fosse cresciuta in una poesia. Lui, invece, è uno che sente troppo. Si incontrano, si sfiorano, si lasciano andare. E poi ballano, letteralmente con i piedi sul muro. Un modo per dire che, quando l’amore arriva, si perde l’equilibrio e questo non è solo romantico, è scomodo. È una visuale privilegiata dall’alto, dalla quale sì, si vede tutto meglio, ma può far venire il capogiro.

    La tenerezza diventa una forma di squilibrio. Perché il sentimento, quando arriva, scombina. Ti solleva da terra, ma può anche lasciarti senza appigli.

    E proprio quando sembra poter cominciare, lei sparisce. Nessun addio, nessuna spiegazione. Solo una frase lasciata nel cappotto e l’eco di qualcosa che avrebbe potuto essere.

    «Non tutte le persone che incontriamo sono destinate a restare nella nostra vita, e non tutte quelle che restano, ti cambiano – dichiara l’artista -. A volte è l’incontro che conta, non la durata. A volte l’innamoramento non ha il tempo per diventare amore.»

    Con “Gelato alla Crema”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Nicola “G Man” Togni, Marino Alberti racconta un tema che oggi è tutto fuorché marginale: l’innamoramento che non si trasforma in relazione. Una traiettoria spezzata, ma non per questo meno significativa.

    Non è un caso se molti giovani vivono oggi una crisi dei “situationship”: secondo un reportage pubblicato dal Wall Street Journal (Aprile 2025), queste relazioni ambigue ‒ né totalmente spensierate né realmente impegnate ‒ stanno stancando una generazione alla ricerca di connessioni più stabili. Al tempo stesso, numerose ricerche internazionali evidenziano come un numero sempre più crescente di giovani tra i 18 e i 30 anni tenda a dare più valore a rapporti brevi e intensi, piuttosto che a storie lunghe e abitudinarie.
    “Gelato alla Crema” si inserisce con naturalezza in questa fotografia generazionale: perché se la durata non è più il parametro principale, allora diventa centrale l’impatto. E questa canzone è un impatto.

    «Tante volte ho pensato: se l’avessi amata di meno, forse l’avrei capita di più – conclude Alberti -. Ma certi amori si leggono come poesie: solo quando non ci sono più.»

    “Gelato alla Crema” è tutta qui, in questa dichiarazione: una storia che non ha bisogno di compiersi per essere ricordata. Una canzone che parla d’amore, sì. Ma senza promesse, senza esiti. Un frammento di vita che non cerca interpretazioni, solo il tempo per sedimentarsi. Una scena d’autore che lascia un sapore preciso in bocca, un’immagine da custodire, che resta anche dopo lo scatto.

    Il brano, prodotto dallo stesso artista con un arrangiamento essenziale ma raffinato, cede spazio alle parole senza mai appiattirle. La scrittura è asciutta, ma densa. Ironica, ma mai cinica. Ricorda a tratti il miglior cantautorato pop degli anni ’90, ma senza nostalgia: c’è un presente, qui, che prende corpo sottotraccia, parola per parola.

    E se oggi l’amore tende a sfumare prima ancora di definirsi, “Gelato alla Crema” non cerca di ricucire lo strappo: lo osserva. Sceglie di non concludere. Resta lì, come certi sguardi tra sconosciuti: brevi, intensi, eppure difficili da dimenticare.

  • Il marranzano diventa pop: Mitch DJ ed Elice in “Balla Balla Tarantella”

    Si intitola “Balla Balla Tarantella” il nuovo singolo di Mitch DJ – artista poliedrico, produttore televisivo, ex Iena di Italia 1 e voce cult di “Tutto Esaurito” su Radio 105 –. Distribuito da Saifam, il brano affonda le radici nella sua terra d’origine, e si trasforma in una vera dichiarazione d’amore alla Sicilia.

    Al fianco di Mitch c’è Elice, giovane talento scoperto sui social, la cui voce – intensa, istintiva, viscerale – ha acceso un’ispirazione immediata. Da quell’incontro è nata una scintilla creativa che ha preso forma in studio, trasformandosi in una canzone che custodisce il legame intimo e ancestrale con l’isola.

    Giovanni Mencarelli – questo il vero nome di Mitch DJ – porta nel sangue la dolcezza e il fuoco del Sud. Figlio di madre siciliana originaria di Riesi (CL) e nipote di amati nonni di Campobello di Licata (AG), ha custodito per anni il desiderio di scrivere un omaggio musicale alla propria terra.

    Un sogno che oggi prende forma, anche per onorare la memoria della nonna – punto fermo dell’infanzia – e del nonno, spirito guida che amava suonare il marranzano, conosciuto anche come “scacciapensieri”.

    “Balla Balla Tarantella” è una festa, ma anche una carezza. È un viaggio tra i colori, i sapori e i suoni della Sicilia. Dai pomodori secchi alla pasta alla Norma, dai cannoli alla luce sulle strade: ogni parola del testo, ogni respiro ed ogni pausa, raccontano qualcosa di chi parte, ma non se ne va mai davvero.

    «Quando ho conosciuto Elice, mi sono detto: è il momento – racconta Mitch DJ –. Volevo fare un regalo alla mia isola, qualcosa che rimanesse nel tempo, che facesse sorridere e ballare, ma anche commuovere.»

    Il risultato è una tarantella moderna, contagiosa, piena di energia e sentimento, pensata per far ballare, emozionare e sorridere chiunque porti nel cuore un pezzo di Sicilia.

    Suonare e cantare, qui, diventano un atto di appartenenza: una dichiarazione, un richiamo, un abbraccio. Un simbolo di identità e orgoglio.

    Mitch DJ ha ancora molti parenti sull’isola. Con questo brano, spera di far sentire a ciascuno di loro – e a ogni siciliano nel mondo – il battito forte del cuore di un figlio lontano, ma sempre presente.

    La Sicilia ha sempre vissuto tra partenze e ritorni: solo negli ultimi anni oltre 35.000 giovani hanno lasciato l’isola in cerca di opportunità, mentre nel secolo scorso si contano circa 750.000 siciliani emigrati nel mondo. Un popolo abituato a partire, ma con la memoria sempre rivolta a sud. Perché le radici, anche se lontane, non smettono di farsi sentire e di ricordarci che, per andare lontano, bisogna sapere da dove si viene.

    “Balla Balla Tarantella” è un ritorno.
    Perché certe terre non le lasci mai davvero: ti restano nella voce, nei gesti, nel passo con cui attraversi il mondo. E hanno il suono inconfondibile di casa.

  • Dimenticate il sesso esplicito: “PURO CLICHÉ” di KAWAKAMI seduce con il silenzio

    Uno sguardo, un’allusione, un gioco che resta a metà. Il nuovo singolo di KAWAKAMI, prodotto da Kaizèn, affonda nella dinamica non detta di un’attrazione che nasce nella testa prima ancora che nel corpo. Niente romanticismo, nessun lieto fine: “PURO CLICHÉ” (Keyrecords/KMusic/ADA Music Italy) è il racconto di un desiderio che si insinua nei silenzi e prende il sopravvento, anche quando sappiamo che non porterà da nessuna parte.

    Un rito silenzioso tra l’etero-curiosità e la voglia di scoprire come potrebbe andare a finire.
    A volte è bello riuscirci.
    Altre, ti ritrovi con il cuore a pezzi.
    Ma spesso, basta la sola certezza del “saresti stata mia” – anche solo per una notte – per colmare quel vuoto sottile che si apre dietro la barriera dell’ego. E alimentarlo.

    La testa sa. Il corpo vuole.
    Ed è lì che comincia la sfida: il PURO CLICHÉ.

    Il brano si sviluppa sul confine tra curiosità e pulsione, tra il bisogno di sentirsi desiderati, scelti, e l’ego che reclama attenzione per ottenere conferme. È la narrazione di un’intesa che resta sospesa, di una scintilla erotica forse solo immaginata, che brucia sottopelle senza consumarsi. E resta addosso, pur non toccando nulla.

    Produzione minimale ma sensuale, voce intima, testo che non gira intorno. Qui si parla di corpo, voglia, contraddizione. È il sesso che si insinua nella testa prima ancora che nelle lenzuola. È il cliché, il “PURO CLICHÉ” del “so che non dovrei, ma lo voglio lo stesso”. Un brano che non cerca l’amore: si fa strada scavando nel cortocircuito tra controllo e impulso.

    Con una matrice R&B/alt-pop ad alta intensità, il brano si posa su un beat downtempo, tra kick morbidi, hi-hat sincopati e un groove essenziale che lascia spazio alla voce. I synth ambientali creano un tappeto di attrazione e distanza, mentre i bassi, pieni e avvolgenti, danno corpo alla pulsione sottesa del testo.

    La voce – volutamente nuda e diretta – è trattata con riverberi corti e delay discreti per mantenere l’intimità del racconto, come se arrivasse da un confessionale, da un sussurro notturno. Mix e sound design sono orientati a mantenere un equilibrio dinamico tra assenza e presenza: ogni elemento ha il suo spazio, con silenzi calibrati che puntano su un’architettura cinematica. La struttura evita i classici drop o climax prevedibili, preferendo un andamento che lascia spazio al non detto, per farlo parlare.

    «”PURO CLICHÉ” è nato da un’attrazione trattenuta, vissuta e mai agita – racconta KAWAKAMI -. Un pensiero che si insinua, cresce, e alla fine ti costringe a chiederti: lo voglio davvero, o voglio solo essere desiderata? A volte l’ego ha più fame del cuore.»

    Secondo una recente ricerca del Kinsey Institute, oltre il 40% delle donne tra i 18 e i 35 anni dichiara di vivere fantasie erotiche che non si trasformano mai in esperienze reali, ma che generano comunque emozioni forti, senso di potere o vulnerabilità. KAWAKAMI intercetta questo spazio liminale e lo traduce in musica: non per raccontare una storia d’amore, ma per descrivere l’attimo in cui il pensiero passionale prende il sopravvento.

    Dopo aver trattato l’identità nomade in “Gitana” e il burn-out affettivo in “MOMENTO”, KAWAKAMI si concentra su un’altra sfumatura: quella del desiderio che non cerca complicità, ma affermazione.

    “PURO CLICHÉ” è l’istantanea nitida di un impulso che non chiede redenzione. Solo di essere guardato da vicino.

  • Dimenticate i cliché: “Essere o Avere” è rap che pensa

    «Essere o avere sembran solo due verbi, ma in realtà sono nervi». È qui, tra filosofia e asfalto, che Bosky – cantautore nato e cresciuto ad Aulla (MS), tra Liguria e Toscana – dà vita al suo primo singolo, “Essere o Avere”. Un brano inciso con atmosfere old‑school, produzione rock abrasiva e un testo che parla di ricerca di senso, identità, ansia da social, soldi e isolamento. Ma lo fa con una voce matura, consapevole, che attinge a Hesse e Nietzsche più che alla retorica da “street boy”. È il rap di chi la vita l’ha vissuta, non quella da palcoscenico, ma quella che comincia quando le luci si spengono. Il rap dell’uomo che si confronta con la società della morale, della routine e dei like.

    Scritto dopo anni di immersione in letture filosofiche, “Essere o Avere” contrappone concetti e materia: l’aver non può comprare l’essere. Bosky rifiuta il rap come cliché: non canta da duro, ma da pensatore poetico-scarno, dipingendo la realtà di chi vuole essere riconoscibile, non omologato. Un pezzo che sceglie il coraggio della verità in luogo dell’ovvietà performativa.

    «Questo singolo parte dall’idea di confrontare questi due verbi, due mondi mentali – dichiara -. Non è rap da gangsta o da like, ma rap che racconta la ricerca di autenticità. I riferimenti ai serpenti e all’aquila, al Cayenne e alla vecchia Benz non sono per sembrare figo. Sono per mostrare che l’essere conta più dell’avere. Non amo la musica vuota: il rap per me è un’arma, un pensiero che chiede di farsi sentire.»

    Prodotto da Francesco Pratesi – beatmaker rock‑rap della scena toscana –, “Essere o Avere” unisce un groove analogico, chitarre live e linea ritmica essenziale per richiamare le radici del genere. Il videoclip ufficiale che accompagna la traccia, girato in bianco e nero, punta su atmosfera, linguaggio visivo asciutto e pochi simboli: nessuna narrazione forzata, tutta immediatezza. Il classicismo sonoro – ispirato a pesi massimi della scena come Marracash, Fabri Fibra e Nitro – si sposa con una parola lucida e cruda, quasi ferale.

    Nel 2024, il rap italiano ha esercitato un potere culturale crescente: oltre il 24% dei 16‑24enni lo indica come genere di riferimento, ma secondo recenti analisi e osservatori, solo una minima parte delle uscite propone contenuti di reale spessore. “Essere o Avere” cerca di colmare questo divario, offrendo un pezzo che va oltre beat e flow, presentandosi come gesto culturale radicato nel vissuto comune, lontano dalle tendenze. Un brano che guarda alla coerenza, all’identità e al pensiero.

    Bosky ha studiato scrittori come Bukowski, Hesse, Nietzsche e Svevo fin da adolescente. Ha lavorato come operatore nel settore della sicurezza privata, dedicando tempo alla scrittura e alla lettura. La sua passione per il rap è nata tra i testi che ammirava; ha trovato nel rock‑rap la forma più schietta di espressione. Con “Essere o Avere” debutta come artista completo, unendo potenza lirica e produzioni essenziali, senza compromessi. Il suo rap non è musica da consumare: è fibra espressiva, riflessione e appartenenza.

    Bosky non cerca consensi. Cerca coscienze sveglie, ascoltatori vigili, attivi. E una scena in cui l’essere valga ancora più dell’apparire.