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  • Burn-out emotivo e abitudine sentimentale: “MOMENTO” di KAWAKAMI è la canzone che parla a tutta una generazione

    Ciò che non uccide fortifica. Quante volte ci si trova accanto a qualcuno senza sapere più se ci stia davvero guardando? È da questa domanda che nasce “MOMENTO”, il nuovo singolo di KAWAKAMI, disponibile su tutte le piattaforme digitali per Keyrecords/KMusic con distribuzione ADA Music Italy. Dopo l’ibridazione culturale di “Gitana”, l’artista milanese classe 1999 torna con una traccia intima ma lucida, in bilico tra malinconia e resistenza, che racconta cosa accade quando il sentimento si ritrova imbrigliato nella routine, e l’amore non basta più a coprire le crepe del quotidiano.

    Un brano che mette a fuoco l’esatto momento in cui si smette di essere certi e si comincia a cercare conferme. Quell’istante in cui le parole si fanno preghiera, la consuetudine diventa abitudine e l’unico appiglio resta chiedere: «Per un momento, chiedimi che cosa penso».

    Una domanda che non riceve risposta, uno sguardo che sfugge e parole trattenute troppo a lungo. E in amore, così come nella vita, c’è chi resta e chi si allontana, anche stando nella stessa stanza. Ed è così che alla fine, quella voce che prima confortava, ora confonde: «Lasciami stare, perdo il respiro, voglio sbagliare, sono sola per un po’».

    In un’epoca in cui il tempo sembra sfuggire dalle nostre mani e le relazioni soffrono la pressione di questa velocità, “MOMENTO” diventa parte di un discorso urgente: secondo l’Istat, quasi un terzo delle giovani coppie italiane si separa entro i primi 5 anni di relazione, e il 68% cita come causa principale “l’incapacità di comunicare e condividere”. In questo senso, il brano assume i tratti di un racconto generazionale, collettivo, in cui il disincanto affettivo si intreccia con l’incapacità diffusa di stare davvero dentro il presente emotivo di sé e dell’altro.

    “MOMENTO” intercetta il punto in cui ci si sente più soli: non quando l’amore finisce, ma quando comincia a trasformarsi in qualcosa che non riconosciamo più. Secondo un’indagine condotta dall’Università Cattolica di Milano, oltre il 70% dei giovani adulti italiani dichiara di avere difficoltà nel parlare apertamente con il partner dei propri bisogni affettivi. In questo contesto, il silenzio non è più solo una pausa, ma una voragine. KAWAKAMI restituisce questa frattura senza alcuna sovrastruttura, scegliendo la nudità del dubbio come forma narrativa. E proprio perché non forza un significato e non offre facili soluzioni, il pezzo lascia spazio a quel margine sottile in cui si smette di comprendere l’altro, ma non si ha ancora il coraggio di ammetterlo. È lì che “Momento” si ferma: in quel punto cieco dove le cose cambiano senza che nessuno riesca a dirlo ad alta voce.

    «Scrivere “MOMENTO” è stato come fermare un fotogramma di qualcosa che stava per sfuggirmi – racconta l’artista -. Avevo bisogno di capire se quella persona mi vedeva ancora per davvero, o solo per abitudine. È difficile restare, ma è ancora più difficile sentirsi dimenticati mentre si è presenti.»

    La produzione, firmata da Luigi “CALMO” Ferrara e Luca Notaro, veste il brano di un abito essenziale e caldo: un’anima R&B attraversata da scale blues, su cui la voce di KAWAKAMI si muove con misura e consapevolezza. Tra radici urban, venature soul e aperture melodiche che sfuggono alle etichette, frammenti quotidiani si intrecciano a pensieri quasi sussurrati che sembrano una confessione. Perno del progetto resta la direzione artistica di Kaizèn, capace di accompagnare l’artista in un’alternanza di pieni e vuoti, prendendo per mano l’ascoltatore e guidandolo in uno spazio disarmato, non protetto ma sicuro e privo di giudizio, dove anche il non detto ha un peso.

    In questo equilibrio sottile tra presenza e assenza, tra parole dette e trattenute, si coglie e si fa sempre più evidente una scelta precisa: il tono. La decisione di mantenere una scrittura sobria ma diretta, anche nei versi più netti, è una delle cifre distintive di “MOMENTO”. KAWAKAMI attraversa il disorientamento con parole semplici, mai gridate, ma che restano addosso: «Stessa bocca con lo sguardo perso, mi cerchi ancora ma… siamo tutte prese male». Una frase che descrive non solo la crisi della coppia, ma una generazione che fatica a comunicare davvero, risucchiata da automatismi, burn-out affettivi e una quotidianità che spesso spegne il desiderio prima ancora di dichiararne la fine.

    «”MOMENTO” non è un addio – conclude la cantautrice milanese -. È il tentativo di capire se esiste ancora un punto d’incontro prima che tutto svanisca. È quel minuto di silenzio tra due persone che si sono amate, in cui si decide tutto.»

    Con un tono maturo, mai retorico, “MOMENTO” mostra un lato più vulnerabile e riflessivo dell’artista, già protagonista con “Gitana”, “Altrove” e “Fiori di Carta“, brani che le hanno permesso di conquistare playlist editoriali di spicco come “Scuola Indie” e “Anima R&B”. Il suo stile unico e fortemente riconoscibile, minimalista nelle immagini ma intenso nel significato, riesce a raccontare incrinature, fragilità e distanze affettive senza costruzioni.

    Con “MOMENTO”, KAWAKAMI ci guida in uno spazio silenzioso e necessario, in cui ci si può permettere di vacillare senza sentirsi sbagliati. Un invito a fermarsi, sedersi uno accanto all’altro, e ricominciare a chiedersi a vicenda cosa si prova. Perché a volte, basta un solo momento per cambiare tutto.

  • Autismo: tra ipersensibilità e bellezza nascosta. Il nuovo singolo di Giordano Amici è un volo metaforico oltre i confini della percezione

    Il silenzio, il rumore, le sensazioni amplificate e le parole che sfuggono. Un universo che spesso sembra troppo veloce, troppo caotico, troppo difficile da decifrare. Con “Dove tutto è possibile” (Pako Music Records/Believe Digital), il nuovo singolo di Giordano Amici, il cantautore romano si fa interprete dell’esperienza vissuta da chi convive con il Disturbo dello Spettro Autistico, restituendo uno sguardo intimo e rispettoso su una condizione che riguarda un bambino su 77 solo in Italia, secondo gli ultimi dati dell’ISS.

    Disponibile su tutti i digital store dal 2 aprile, in occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, il brano non vuole spiegare, ma accompagnare, in un cammino di sensibilizzazione e comprensione. E lo fa con la delicatezza che contraddistingue da sempre la scrittura di Amici, da anni impegnato nella narrazione di tematiche sociali: una canzone che racconta l’autismo dall’interno, in prima persona, dando voce a chi troppo spesso resta inascoltato.

    Il testo di “Dove tutto è possibile” è una finestra aperta su un orizzonte fatto di percezioni sottili, dettagli che diventano essenziali e sensazioni che sfuggono alle definizioni comuni – «Nel mio mondo silenzioso di colori e sfumature, diverso è il rumore, nella mente più di un fiore» -. Parole che portano l’ascoltatore dentro una quotidianità differente, quella di un ragazzo autistico, traducendone le difficoltà e la bellezza della sua visione del mondo, fatto di suoni amplificati, gesti che assumono significati propri e una ricettività che segue traiettorie tutte da scoprire. «La folla è un grande mare» e il silenzio può diventare assordante, ma ogni cosa ha un proprio ritmo, una propria logica, un proprio spazio di libertà.

    Quello di Giordano è un approccio che non si ferma alla superficie, ma ci spinge a riflettere su quanto il nostro modo di percepire la realtà sia solo uno dei tanti possibili.

    «Ognuno ha il proprio modo di sentire, comunicare e vivere – spiega -, e credo sia fondamentale provare a comprendere queste diversità, accoglierle, rispettarle.»

    L’autismo è definito “spettro” per la sua vastissima gamma di sfumature. Chi vive questa condizione sviluppa un’interpretazione unica di ciò che lo circonda, e il brano di Amici evita qualsiasi semplificazione, scegliendo piuttosto di trasmettere un’emozione autentica, senza retorica.

    Molti studi dimostrano che l’autismo altera la percezione sensoriale, facendo sì che suoni, luci e contatti fisici vengano elaborati in modo amplificato o, al contrario, quasi ovattato. Secondo la National Autistic Society, oltre il 70% delle persone a cui è stata diagnosticata una forma di autismo sperimenta un’ipersensibilità o un’iposensibilità agli stimoli, un aspetto che influisce profondamente sulla loro interazione con il mondo esterno. Questa caratteristica trova riflesso nella costruzione sonora di “Dove tutto è possibile”, dove gli arrangiamenti guidano l’ascoltatore in un alternarsi di quiete e impeto, di leggerezza e immersione totale, proprio come accade a chi convive con un’elaborazione sensoriale diversa. Il risultato è un’esperienza musicale che non si limita a raccontare, ma fa vivere l’essenza del brano.

    Non è un caso che la musica, da sempre, rappresenti un canale privilegiato di espressione per chi ha difficoltà a comunicare con le parole. La musicoterapia, infatti, ha evidenziato effetti positivi nel migliorare l’interazione sociale, facilitando una connessione più spontanea con l’ambiente circostante e riducendo significativamente i comportamenti ripetitivi e ansiosi associati all’autismo. Una ricerca pubblicata nel 2023 ha confermato che l’ascolto e la pratica musicale possono stimolare entrambi gli emisferi cerebrali, favorendo una maggior consapevolezza emotiva e potenziando le capacità relazionali. “Dove tutto è possibile” utilizza la musica non solo come linguaggio artistico, ma come mezzo per avvicinarsi a chi merita di essere ascoltato.

    Se da un lato il testo descrive la quotidianità di chi vive questa condizione, dall’altro porta con sé un messaggio di fiducia e libertà. Il volo metaforico citato nel ritornello – «Prendi le mie mani, entra nel mio mondo, guarda è magico. Prendi le mie ali, insieme ce ne andiamo dove tutto è possibile» -, simboleggia la possibilità di andare oltre le barriere imposte dagli schemi sociali e dalle difficoltà di comunicazione, riconoscendo la ricchezza di ogni punto di vista.

    Un’immagine che esprime il desiderio di leggerezza, di libertà, la necessità di potersi muovere senza il peso delle aspettative, in un equilibrio che non ha bisogno di essere giustificato.

    «L’obiettivo non è cambiare chi è diverso – conclude Amici -, ma imparare a vedere la bellezza di questa diversità. Ciascuno di noi ha un’interiorità che può essere compresa solo se ci si prende il tempo di osservarla con attenzione.»

    “Dove tutto è possibile”, prodotto da Alessandro Di Somma, rappresenta una delle pagine più toccanti del percorso artistico del cantautore. Un brano che, pur mantenendo un taglio personale, si lega a un tema di attualità sempre più presente nel dibattito pubblico, ponendo l’accento sull’importanza della consapevolezza e dell’inclusione.

    Giordano Amici non è nuovo a progetti di stampo inclusivo. Con “Lara“, ha raccontato il dramma delle dipendenze giovanili, mentre “Fiocco Viola” ha portato alla luce il tema spesso taciuto dell’anoressia maschile. “Dove tutto è possibile” prosegue questo percorso, dimostrando ancora una volta l’urgenza narrativa del suo autore.

    “Dove tutto è possibile” è un’opportunità di guardare oltre, di mettersi in ascolto, di accogliere nuove prospettive. Perché quando scegliamo di tendere la mano a chi vede il mondo con altri occhi, tutto può davvero diventare possibile.

  • Relazioni tossiche e doppia identità: Bennyvi canta ciò che molti vivono e pochi raccontano

    Una doppia personalità, imprevedibile, manipolatoria. È questa l’immagine che Bennyvi immortala nel suo nuovo singolo, “Gemini” (DelmaJag Records). A pochi mesi dal successo di “I Know What You Are“, che ha riscosso numerosi consensi sui principali media italiani, europei e statunitensi e l’ha consacrata come una delle voci più interessanti della nuova scena internazionale, la cantautrice ticinese di origini venete torna con un brano ancora più diretto e graffiante sulle relazioni segnate da ambiguità e narcisismo.

    Secondo recenti dati pubblicati da Psychology Today, il 45% dei giovani tra i 18 e i 30 anni ha vissuto almeno una volta nella vita un rapporto sentimentale tossico, caratterizzato da manipolazione, disequilibrio e forte instabilità. Mai come oggi, le relazioni affettive si giocano su un terreno scivoloso, dove il fascino può trasformarsi in controllo e le promesse in strumenti di dominio. La costruzione dell’identità – amplificata dai social e dalla costante esposizione – crea legami più fragili e volatili, rendendo più difficile riconoscere chi si nasconde dietro una maschera. Il narcisismo è sempre più radicato. Tra manipolazione affettiva, gaslighting e giochi di potere, molte persone si trovano intrappolate in rapporti in cui l’altro costruisce una versione di sé affascinante e irresistibile, salvo poi rivelare il proprio lato più freddo e calcolatore. L’incertezza e la contraddizione diventano pericolose armi di controllo, che alimentano dipendenza e senso di inadeguatezza. Un fenomeno amplificato dall’iperconnessione digitale, dove l’apparenza regna sovrana e le emozioni vengono spesso distorte o mercificate.

    Un ciclo di attrazione e distruzione che segna chi ne rimane coinvolto, rendendo sempre più complesso distinguere tra sincerità e strategia. È proprio su questa dinamica, così reale e attuale, che Bennyvi ambienta la narrazione di “Gemini”: la storia di un amore che si rivela ingannevole, fino a sgretolarsi sotto il peso della sua stessa ambiguità, in cui l’altro mostra due volti opposti, capaci di sedurre e ferire con la stessa rapidità.

    Su una produzione dal respiro internazionale, che richiama le hit d’Oltreoceano, “Gemini” intreccia pop ed elettronica con un ritmo incalzante scandito da clapping ritmici. Il sound si muove a mezz’aria tra le atmosfere confessionali di Taylor Swift, l’energia ruvida di Olivia Rodrigo e la fluidità sofisticata di Sabrina Carpenter, creando un contrasto netto, un gioco di specchi che ribalta gli equilibri.

    Bennyvi mette in scena un protagonista che cambia volto con una facilità disarmante, alternando lusinghe e menzogne. Una stabilità precaria che prende forma nei versi «Good lie, bad guy. Funny how the more you talk the less I believe you. Good time, good bye. For someone that’s two faced you’re terribly heartless.» («Bella bugia, cattivo ragazzo. Curioso come più parli meno ti credo. Bei momenti, addio. Per essere una persona con due facce sei terribilmente senza cuore.»)

    C’è qualcosa di familiare per molti in questa storia, una trama sottile e ricorrente che si insinua nelle relazioni e le svuota dall’interno. Il confine tra carisma e inganno è labile, e spesso si riconosce solo a posteriori, quando le parole che ammaliavano diventano schemi, gabbie che limitano, soffocano.

    «Scrivere “Gemini” è stato catartico – racconta Bennyvi -. Ho voluto mostrare come facilmente possiamo cadere nella trappola di chi ci mostra solo una parte di sé, nascondendo un’anima opposta e pericolosa. È fondamentale imparare a riconoscere questi meccanismi per proteggere sé stessi e la propria indipendenza.»

    Questa dualità spietata si fa strada nei versi, tra richiami ripetuti e immagini che si contraddicono, restituendo il senso di un’attrazione ambigua, che affascina e spaventa al contempo: «Gemini gemini. Which one of you will make me cry, make me cry? You’re such a gemini, gemini. For someone that’s two faced you’re terribly heartless.»(«Gemelli gemelli. Quale di voi mi farà piangere, mi farà piangere? Sei proprio un gemelli, gemelli.»)

    “Gemini” è anche il penultimo tassello prima della pubblicazione del tanto atteso EP d’esordio, che Bennyvi lancerà entro l’anno e che porterà alla luce una visione musicale ancora più matura e identitaria.

    «La musica deve anche far riflettere e aiutare a comprendere – conclude la cantautrice svizzera -. “Gemini” racconta esperienze che molti vivono senza riuscire a dare loro un nome. Riconoscerle è il primo passo per riprendere il controllo della propria emotività e della propria vita, diventando più consapevoli di sé e del proprio valore, anche nelle situazioni più difficili.»

    “Gemini” è un promemoria per una generazione che deve imparare a riconoscere le maschere dietro i sorrisi. Bennyvi utilizza la musica come strumento di lucidità, perché spesso ci rendiamo conto troppo tardi della vera natura di chi abbiamo accanto e del nostro valore personale. Aspetti imprescindibili da riconoscere in tempo, per proteggersi e vivere rapporti che non tolgano, ma arricchiscano entrambe le parti.

  • Un singolo, una scelta, una generazione: Giuseppe Incorvaia torna con “Evoluzione”

    Cosa conta di più: il brivido della novità o il valore di ciò che già abbiamo? È il dilemma che tormenta una generazione cresciuta con tutto a portata di mano, e che oggi si interroga sul valore della fedeltà. Giuseppe Incorvaia lo racconta in musica con “Evoluzione” (Greyscompany), un singolo che non parla solo d’amore, ma di una scelta che ognuno, prima o poi, si trova ad affrontare: resistere alla tentazione o lasciarsi tentare?

    Viviamo nell’epoca dell’”usa e getta sentimentale”, in cui il 67% delle persone tra i 25 e i 40 anni, secondo recenti sondaggi sulle dinamiche relazionali, ha ammesso di aver messo in discussione una relazione stabile per un’attrazione improvvisa. E non è solo un pensiero passeggero: l’infedeltà è un fenomeno in crescita. Un’indagine europea del 2024 rivela che il 58% degli italiani ha tradito almeno una volta il proprio partner. Nel Belpaese, inoltre, i casi di infedeltà coniugale sono aumentati del 18% nell’ultimo anno, con il 64% dei tradimenti attribuiti a donne che hanno tradito il proprio marito o fidanzato. E se questi numeri fossero la prova che il protagonista di “Evoluzione” non è solo? Che quel dubbio, quel bivio, è più diffuso di quanto pensiamo? Questi dati lo confermano: oggi più che mai, il fascino di qualcosa di nuovo può mettere in crisi ciò che già si ha. “Evoluzione” è il racconto di quell’istante, l’esatto momento in cui la testa dice no, ma il cuore esita.

    «Sei la più bella del mondo, ma non sei uguale a lei», canta Incorvaia. Perché la tentazione può essere forte, ma il confronto con la realtà è inevitabile.

    «Viviamo in un’epoca in cui tutto si brucia in fretta – racconta l’artista -. Cambiare sembra più facile che restare, ma siamo sicuri che sia davvero così? Questa canzone non dà risposte, ma racconta quel contrasto di emozioni che tanti hanno vissuto. Non è solo una storia d’amore, è una storia di scelte.»

    E proprio sulle scelte si gioca tutto. A volte basta un attimo per cambiare il corso di una storia: un incontro inaspettato, uno sguardo, una scintilla. Il cuore accelera, la razionalità vacilla. Buttarsi o fermarsi?

    “Evoluzione” è il suono di una passione che dura tre giorni, ma lascia dentro un fremito che non svanisce. Tre giorni sospesi, in cui tutto sembra possibile, fino a quando la realtà si fa spazio tra il desiderio e la razionalità.

    «Stasera lasciami stare, non te lo dico più», prosegue il brano, descrivendo l’incanto che si infrange e l’euforia iniziale che si scontra con il peso delle conseguenze. Il trasporto lascia spazio alla lucidità, il fuoco della tentazione si affievolisce per spegnersi davanti alla consapevolezza. Il protagonista sa di dover scegliere, e quella scelta pesa più di quanto avrebbe immaginato.

    Il titolo “Evoluzione” non è casuale. Non è solo il tema del brano, ma anche il percorso musicale che Incorvaia ha scelto di intraprendere. Il sound è più pulito, più essenziale, con uno xilofono sintetizzato che accompagna la narrazione senza sovrastarla.

    «Non volevo un pezzo che suonasse come i precedenti – spiega -, volevo che si sentisse il cambiamento. La musica è fatta di evoluzioni, proprio come la vita.»

    Il dilemma raccontato nel pezzo non è solo personale, ma generazionale. In un’era di scelte rapide e connessioni fugaci, la canzone tocca una fragilità tangibile: quanto vale ancora la fedeltà ai sentimenti? “Evoluzione” è la colonna sonora di questo dubbio. Senza moralismi, senza giudizi. Solo con la realtà nuda e cruda.

    Il singolo segna un punto di svolta anche per Giuseppe Incorvaia. Cantautore con oltre trent’anni di carriera, ha iniziato giovanissimo grazie all’intuito di Gianfranco Busnelli, che lo scoprì a soli 15 anni. Nel 1993 pubblica i suoi primi inediti con i fratelli La Bionda, entrando poi nella Cecchetto Gang. Negli anni, scrive oltre 30 brani, e oggi sente il bisogno di tornare in prima linea con una canzone che rappresenta il suo nuovo capitolo artistico. Con una carriera che attraversa tre decenni, Incorvaia ha sempre avuto un obiettivo chiaro: raccontare storie vere, con parole essenziali, dirette, senza artifici.

    «Ogni mia canzone nasce da una verità – conclude -. “Evoluzione” è quella scelta che prima o poi tocca tutti. C’è chi la fa d’istinto, chi la rimanda, chi la subisce. Ma nessuno può evitarla.»

    Un ritorno, un passo avanti, un cambiamento reale. Incorvaia porta avanti una ricerca artistica che non si è mai fermata, e che oggi trova una nuova direzione. “Evoluzione” è un racconto di scelte e contraddizioni che spinge a farsi domande. E forse, anche a trovare qualche risposta.

  • La musica non è mai stata così politica: Lecicia Sorri sfida il sistema con il suo primo EP

    Nel diritto penale, l’articolo 110 stabilisce il concorso di persone in un reato. Per Lecicia Sorri, anagramma e pseudonimo di Cecilia Rossi, è invece la dichiarazione di un “crimine” musicale condiviso con Otus_Medi, il produttore con cui ha dato vita a “art. 110, 1° co.“, il suo debut EP che sovverte le regole e trasforma la musica in un manifesto politico e sociale.

    Sei tracce che, tra elettronica, cassa dritta e liriche taglienti, mettono in discussione il concetto stesso di confine: politico, sociale, interiore.

    Dall’emergenza ambientale alla critica delle frontiere geopolitiche, dal transfemminismo alla lotta contro l’oppressione, ogni brano è una miccia accesa sotto i dogmi culturali.

    «L’arte è un atto di sovversione, ma anche di costruzione – spiega Lecicia -. In un momento storico come questo, non può essere fine a se stessa. Questo EP nasce da una necessità urgente, quasi un obbligo morale: non posso restare in silenzio mentre l’umanità va verso l’estinzione. Ho il privilegio di poter parlare, di avere un tetto sopra la testa, e credo che chi può farlo abbia il dovere di amplificare le voci di chi non viene ascoltato.»

    Il disco nasce dall’incontro con Otus_Medi, produttore e musicista napoletano che ha saputo dare forma sonora alle visioni dell’artista bolognese, creando una dimensione musicale che oscilla tra pop, techno, ambient, industrial ed elettronica sperimentale. Un dialogo a distanza, un incastro perfetto tra liriche dirette e sound ibrido, che ha reso questo progetto un terreno di sperimentazione e libertà creativa.

    Anche l’immagine visiva del progetto nasce da un processo di collaborazione spontaneo. La copertina dell’EP è frutto dell’incontro tra l’illustratore toscano naturalizzato bolognese Claudiano.jpeg ed Elena Marrone, in arte Ananpoptosi, disegnatrice e amica dell’artista. La loro elaborazione grafica ha aggiunto un ulteriore livello di interpretazione, decorando e arricchendo l’artwork senza snaturarne l’essenza.

    Per Lecicia Sorri, scrivere e cantare non sono solo una forma di espressione artistica: sono anche un mezzo per immaginare e costruire un cambiamento concreto. Da tempo sogna di portare la sua visione oltre il palco, fino alla politica. Perché, se l’arte può scuotere coscienze e abbattere barriere, allora può anche aprire la strada a nuove possibilità di trasformazione sociale.

    Un principio che si riflette anche nel titolo del progetto: “art. 110, 1° co.”, richiama il concetto di collaborazione, ma lo trasforma in un gioco di senso: la musica come atto collettivo, il suono come azione sovversiva, la parola come strumento di resistenza. L’EP è un viaggio attraverso storie e immagini che spaziano dall’introspezione più profonda alla critica sociale più feroce, mantenendo sempre un tono ironico e consapevole, capace di alleggerire anche i temi più spigolosi senza mai banalizzarli.

    Oltre la musica ci sono i numeri di una crisi che attraversa il mondo: “art. 110, 1° co.”, infatti, non è un semplice intreccio di brani racchiusi in un concept, ma è uno sguardo sulla realtà attraverso il suono. Ogni traccia tocca un tema caldo e cruciale del nostro tempo, supportato da dati che raccontano la portata globale di questa crisi:

    • Crisi climatica. Secondo il rapporto IPCC, le temperature mondiali sono aumentate di oltre 1,1°C rispetto all’era preindustriale, con il 2023 tra gli anni più caldi mai registrati. Nel brano “Ghiacciaio”, l’amore diventa il riflesso della fragilità del pianeta: «Bombardan l’amore, anche all’ombra si muore
    • Confini e migrazioni. L’ONUstima che nel 2023 oltre 110 milioni di persone siano state costrette a lasciare la propria casa a causa di conflitti, persecuzioni o cambiamenti climatici. “Sorri not sorry” – titolo che gioca con il cognome anagrammato della cantautrice -, denuncia il ruolo dei media nella narrazione distorta delle crisi migratorie e delle ingiustizie globali.
    • Violenza di genere. In Italia, nel solo 2023, si sono registrati oltre 120 femminicidi, e nel mondo una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale nel corso della vita (dati OMS). Il transfemminismo e la resistenza femminile sono l’anima del disco.
    • Sovversione e resistenza. Dal #MeToo alle rivolte giovanili, la musica ha sempre avuto un ruolo di amplificatore del dissenso. “VLFDM (RMX)” – acronimo che sta per Voglio La Fine Del Mondo – traduce il caos dell’epoca contemporanea in un sound distopico e parodico.

    Questi numeri non sono solo statistiche: sono storie, persone, vite. “art. 110, 1° co.” non vuole dare risposte, ma accendere domande, spingere a riflettere, e di conseguenza, agire.

    Un progetto che nasce dal bisogno di dire qualcosa, di scuotere. Un EP che non si accontenta di suonare, ma chiede di essere ascoltato davvero. Non è solo musica, è un punto di vista sul mondo, un modo di resistere e di immaginare nuove possibilità. E forse, anche di ballarci sopra.

    A seguire, tracklist e track by track del disco.

    “art. 110, 1° co.” – Tracklist:

    1. Universo Rapi
    2. Sorri not sorry
    3. Senza Nome
    4. Ghiacciaio
    5. Rafiki
    6. VLFDM RMX

    “art. 110, 1° co.” – Il disco raccontato dall’artista:

    “Universo Rapi”, l’introduzione che serve per lasciarsi andare: Otus_Medi mi ha mandato la base con una domanda: «Che sensazioni ti trasmette?». La mia risposta è stata una donna in abito rosso, che attraversa una metropoli dopo una grande fatica. Il rischio di immobilizzarsi è forte, ma l’universo trascina comunque avanti. «Magnum gaudium est cum universo rapi» è la lezione di Seneca che riecheggia tra i beat elettronici: accettare il movimento, lasciarsi portare.

    “Sorri not sorry”, la rabbia contro le ingiustizie: è la traccia più cupa dell’EP. È un flusso di parole recitate, un monologo interiore che si fa grido politico. «Ho partorito un’idea tutt’altro che mesta», canto nel pezzo, denunciando il genocidio e la censura, la violenza sistemica e il ruolo distorto dei media. Ma oltre alla rabbia, c’è la visione di una rete capace di accogliere tutte le creature viventi, abbattendo confini e costruendo legami.

    “Senza Nome”, il peso del senso di colpa: ogni disco ha il suo brano più malinconico, e questo è quello di “art. 110, 1° co”. «Non ti vuoi bene per niente», ripeto come una sentenza, cercando di mettere in musica quel vuoto esistenziale che può spegnere anche la voglia di sopravvivere. È un pezzo che attinge alla profondità delle emozioni senza scadere nella retorica, ma con una cruda consapevolezza.

    “Ghiacciaio”, l’amore come riflesso della crisi climatica: in principio doveva essere una canzone d’amore, ma la realtà ha preso il sopravvento. «Bombardan l’amore, anche all’ombra si muore», dico nel brano, mentre il ghiaccio si scioglie e il mondo si disgrega. Un pezzo, prodotto da K Er M, che mette a confronto il dolore personale con l’irreparabile danno ambientale, ricordandoci che l’amore può essere un’illusione, ma la crisi climatica è una certezza.

    “Rafiki”, la libertà della danza e la danza della libertà: un brano arrogante, spudorato, sfacciato. Questa è la traccia per chi vuole solo ballare, senza scuse e senza distrazioni. «Please don’t ask me once again, I’ll keep dancing till I’m dead», canto su un beat martellante che sembra rifiutare ogni interruzione e ogni compromesso. “Rafiki”, in lingua swahili, significa “amico”. L’unico invito valido è unirsi alla festa. Il brano è stato prodotto da K Er M.

    “VLFDM RMX”, distopia e parodia dell’apocalisse: ho preso il primo brano registrato live e l’ho trasformato in un’invettiva dissacrante sul declino della società contemporanea. Un mix tra denuncia e sarcasmo, tra ansia collettiva e ironia feroce. Il remix spinge il pezzo in una nuova direzione, con una produzione che guida in un viaggio caotico tra il presente e il futuro.

    “art. 110, 1° co.” è un’esperienza. Lecicia Sorri costruisce un immaginario, un’idea di musica che diventa azione politica, pensiero critico, spazio di libertà. Non è un punto di arrivo, ma solo il primo capitolo: il disco anticipa infatti la pubblicazione del secondo extended play, “art. 110, 2° co.”, che porterà avanti questa ricerca sonora e concettuale.

    Un EP d’esordio che non si lascia incasellare, che non cerca facili consensi, ma rivendica la necessità di guardare il mondo con occhi diversi.

    “art. 110, 1° co.” è un EP che non offre risposte semplici, ma pone le domande giuste, quelle necessarie per comprendere il mondo in cui viviamo e, perché no, attivarsi per renderlo migliore.

  • I Ferrinis danno voce a chi parte senza spezzare il legame con la propria terra

    Si può essere lontani, ma mai davvero distanti. Alcuni legami resistono al tempo, ai chilometri e ai cambiamenti. “Aspettami”, il nuovo singolo dei Ferrinis, è il racconto di un viaggio, di una promessa mantenuta nonostante le partenze. Il duo forlivese, che ha conquistato pubblico e critica con un sound dinamico e testi che sono lo specchio della società in cui viviamo, torna con il terzo estratto dal loro prossimo album “Twins”.

    Se con “Coca e Malibù” hanno denunciato l’ossessione per l’apparenza e il senso di vuoto generato dalla cultura dell’immagine, e con “Lussuria e Desiderio” hanno affrontato senza filtri il tradimento, non limitandosi a evocare passioni proibite ma restituendo una fotografia lucida di una crisi relazionale diffusa e documentata, Maicol e Mattia, con “Aspettami”, cambiano registro, senza rinunciare alla loro cifra stilistica: si concentrano sulla resistenza degli affetti, sul valore di chi resta e di chi va via senza dimenticare da dove viene.

    Più che una semplice ballata, “Aspettami” è il ritratto di una generazione in movimento, alla ricerca di nuovi orizzonti con un filo invisibile che la riporta sempre a casa. Una generazione che, dati alla mano, continua a spostarsi, ma sceglie di non recidere mai il legame con le proprie origini. Secondo un recente report dell’ISTAT, negli ultimi dieci anni il numero di giovani italiani che si sono trasferiti all’estero è aumentato del 30%, un fenomeno che racconta le ambizioni di chi cerca altrove opportunità che spesso mancano nel proprio paese, ma anche la nostalgia di chi parte portandosi dietro il peso – e la bellezza – delle proprie radici.

    Lontani per necessità, ma vicini per volontà. Il viaggio, in “Aspettami”, non è solo una decisione, ma una condizione sempre più comune. Se un tempo vivere altrove significava chiudere un capitolo, oggi la distanza non spezza, ma ridefinisce i rapporti. I giovani italiani che scelgono di trasferirsi non si allontanano davvero: restano legati alla propria terra, la portano con sé nelle abitudini, nella lingua, nella musica. I Ferrinis raccontano questo bisogno di andare oltre senza dimenticare ciò che ci ha formati in uno dei versi più rappresentativi del brano: «Cresciuti in questo posto in periferia che ci sembrava stretto, sognando di cambiare tutto.» Un frammento di vita reale, il ritratto di chi guarda avanti senza perdere ciò che lo definisce.

    “Aspettami” è un’istantanea di questa realtà: il ritornello, «Aspettami dove sorge il sole, dopo una notte da ricordare, con una storia da raccontare» – racchiude l’essenza di una promessa. Quella di riconoscersi, nonostante la distanza, il tempo e i cambiamenti.

    Le comunità italiane all’estero crescono e si rafforzano, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione e alla volontà di mantenere viva l’identità culturale. Dall’aumento di festival italiani in giro per il mondo, alla crescita delle comunità digitali di expat, fino al ritorno alle tradizioni da parte di chi vive fuori, il senso di appartenenza si esprime in modi nuovi, più dinamici e consapevoli.

    E la musica, che è da sempre il linguaggio del dinamismo generazionale, è la forma d’arte perfetta per raccontare questo legame sospeso tra sogni e radici. Se in passato le canzoni di emigrazione raccontavano nostalgia e malinconia, ora si fanno portavoce di una nuova consapevolezza: quella di chi sceglie di esplorare nuovi sentieri, ma non si sente mai davvero lontano da quello originario. I Ferrinis riescono a tradurre questa condizione con un linguaggio immediato, privo di retorica, restituendo un’idea di distanza che non divide, ma unisce.

    Un brano come “Aspettami” non parla solo di chi va via, ma anche di chi rimane. Di chi aspetta un ritorno, di chi tiene vivo un legame anche quando le coordinate cambiano. È un messaggio che mai come oggi echeggia forte, in un’epoca in cui il concetto di “casa” è sempre più fluido e il senso di comunità non è più solo geografico, ma identitario.

    «Quando parti, pensi che tutto resti uguale – spiegano Maicol e Mattia Ferrini -, ma quando torni ti accorgi che anche le persone cambiano. Noi volevamo raccontare quella sensazione di straniamento, ma anche la certezza che certi legami restano indissolubili. Ci sono rapporti che vanno oltre il tempo e lo spazio: quelli che, anche a distanza, continuano a farti sentire a casa.»

    I Ferrinis non inseguono tendenze, ma percorrono un tragitto chiaro, basato su una cifra musicale riconoscibile e una scrittura che parla in modo diretto al pubblico. La loro capacità di unire melodia e storytelling li ha resi una delle realtà più interessanti del panorama musicale italiano, e “Aspettami”, non si limita a un discorso discografico, ma si fa linguaggio ed emblema di un’epoca, il punto di contatto con chi vive la propria evoluzione senza dimenticare chi è davvero, tra chi cambia e chi resta fedele a sé stesso.

    Il singolo, accompagnato dal videoclip ufficiale – girato al Misano World Circuit Marco Simoncelli sotto la direzione di Alessandro Murdaca e in uscita venerdì 28 marzo – anticipa “Twins”, secondo progetto full length del duo che raccoglierà dieci tracce, ognuna con una direzione ben definita. Un progetto che va oltre la semplice sequenza di brani, costruendo un percorso sonoro e narrativo in equilibrio tra elettronica e pop. Gli arrangiamenti non cercano la superficie, ma la sostanza, puntando a un impatto che resta anche dopo l’ultimo ascolto.

    «Con “Twins” vogliamo raccontare le nostre esperienze, le nostre sensazioni, il nostro modo di vedere il mondo – concludono i Ferrinis -. Ogni canzone è un pezzo di noi.»

    “Aspettami” è un manifesto di appartenenza, una canzone parla a chi ha vissuto il distacco, ma sa che certi legami non si dissolvono. Perché chi è parte di noi non se ne va mai davvero.

  • Il mare come metafora del cambiamento: Ninfea e il significato di “Oltremare”, un EP per la generazione che non si ferma

    In Italia, il 65% dei giovani si sente in un periodo di transizione, sospeso tra sogni e paure, tra opportunità e incertezze. È un’intera generazione che cerca il proprio posto nel mondo, divisa tra il desiderio di stabilità e la necessità di reinventarsi. Un equilibrio fragile, che Ninfea cattura nel suo nuovo EP “Oltremare” (1901Studio). Sei tracce che ci portano all’istante esatto in cui smettiamo di guardarci indietro e scegliamo di partire. Un momento preciso in cui il peso delle ombre si dissolve e rimane solo il richiamo del mare. Non un punto di arrivo, ma un nuovo inizio.

    La giovane cantautrice calabrese d’adozione bergamasca, che ha incantato il pubblico ed è stata definita dalla critica “una voce angelica”, torna con la sua scrittura diretta e priva di retorica per raccontare storie in cui riconoscersi. Questo progetto ha il suono del cambiamento, ed è composto da brani che ci guidano, esortandoci ad attraversare il confine tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra la paura di rimanere ancorati alle aspettative – proprie e altrui – e il coraggio di seguire i nostri desideri e le nostre ambizioni. La trasformazione, il passaggio tra chi si era e chi si vuole diventare. Senza artifici, Ninfea restituisce emozioni e paure del “diventare grandi”, rendendo tangibile il viaggio di crescita, un viaggio unico che non finisce mai ed accompagna ogni nostra scelta.

    Secondo un recente studio dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, il 65% della popolazione italiana tra i 18 e i 30 anni si sente in bilico tra possibilità e insicurezze, in cerca di una direzione chiara. Incertezze che si riflettono nelle scelte di vita, lavorative e personali, in un contesto sociale ed economico sempre più fluido, dove i giovani cercano nuovi modi per esprimere la propria identità e sentirsi rappresentati. Ninfea si dimostra capace di tradurre questa necessità in musica: in “Oltremare”, ogni canzone diventa una finestra aperta su emozioni reali, rese con una delicatezza che non rinuncia alla profondità. L’artista dà voce a una condizione collettiva, quella di chi sente di appartenere a un tempo che ancora non è definito.

    “Oltremare” è un concetto, una meta, una ripartenza: «Guarisco dalle ombre che ho qui dentro, luna piena. Sotterro tra le ceneri, illusi demoni», canta l’artista nella title track dell’EP, consegnando alla musica il potere di curare, di sciogliere i nodi del passato per lasciare spazio a una nuova direzione. Non è solo un viaggio, ma un rito di passaggio. Il peso delle ombre svanisce, lasciando spazio a una spinta inarrestabile: quella di proseguire, di andare avanti.

    «”Oltremare” è il mio punto di svolta – racconta Ninfea -. Ogni traccia è un frammento di strada percorsa, un passaggio che mi ha portata fin qui. Per molto tempo ho avuto la sensazione di essere sospesa, bloccata in un limbo tra ciò che ero e ciò che volevo diventare. Questo disco è la mia presa di coscienza, il momento in cui ho smesso di farmi domande e ho iniziato a camminare. Spero che chi lo ascolta possa ritrovarsi tra queste storie, sentirsi compreso e trovare il coraggio di scegliere la propria direzione.»

    Sei capitoli, un’unica storia, in un percorso tra memoria e futuro, dove ogni brano lascia all’ascoltatore la libertà di riconoscersi nelle sue sfumature. Sei prospettive diverse su quando tutto cambia e si è chiamati a scegliere: restare immobili o seguire il richiamo di qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di inesplorato.

    Il disco, scritto e composto dalla stessa Ninfea in collaborazione con Mirko Bruno, prodotto da FJD (Francesco James Dini) e Luca Belotti e registrato presso la 1901 Factory di Alzano Lombardo (BG), si apre con “Oltre il Tempo”, dove l’amore si fa eterno e attraversa le epoche: «È cucito nell’universo questo nostro passaggio che non passa mai». Prosegue con “Viaggio Astrale”, un invito a lasciarsi andare e credere nelle possibilità del cambiamento: «Se ci credi tutto può accadere, come in un viaggio astrale». La title track, “Oltremare”, è accompagnata dal videoclip ufficiale e rappresenta il punto di svolta, il momento in cui si sceglie di andare avanti: «Mi vedo correre, ho bisogno di sentire, di volere e poi volare libera». Il percorso continua con “Stelle da Dipingere”, una riflessione su come il buio possa rivelare nuove prospettive, nuove possibilità di trasformare il dolore in una leva per proseguire il proprio cammino: «È solo grazie al buio se ho imparato che siamo stelle ancora da dipingere». “Dolceamara Eufonia” racconta la delicatezza di un addio, il confronto tra chi resta e chi sceglie di partire: «Tu che negli occhi mi specchi a metà e non vedi la mia fragilità». Infine, a chiudere il viaggio, “Elettrica (Demotape)”, una scarica di energia ribelle che porta con sé la sensazione di un nuovo inizio: «La tua iride è magnetica, ogni tuo sguardo mi solletica».

    “Oltremare” è un EP che suona come un atto di consapevolezza, raccontato attraverso una voce che non ha paura di mettersi a nudo e che non si limita a raccontare la sua storia, ma accompagna tutti coloro che ne stanno scrivendo una propria.

    A seguire, tracklist e track by track del disco.

    “Oltremare” – Tracklist:

    1. Oltre il tempo
    2. Vaggio Astrale
    3. Oltremare
    4. Stelle da dipingere
    5. Dolceamara Eufonia
    6. Elettrica (Demotape)

    “Oltremare” – Il disco raccontato dall’artista:

    Oltre il Tempo: questo brano racconta un amore che sfida le regole del tempo, un legame che esiste oltre le epoche. È una ballata intensa, che si muove tra ricordi e speranze future.

    Viaggio Astrale: un’immersione in un mondo sospeso tra sogno e realtà. Le sonorità eteree accompagnano un testo che invita a lasciarsi trasportare dalla propria intuizione, senza resistenze.

    Oltremare: il cuore dell’EP, un manifesto di cambiamento. Rappresenta il momento della svolta, quando si sceglie di ricominciare.

    Stelle da dipingere: un inno alla capacità di trovare luce anche nei momenti più bui. La produzione delicata enfatizza il contrasto tra oscurità e speranza.

    Dolceamara Eufonia: Un dialogo tra passato e presente, tra chi resta e chi sceglie di andare. La dolcezza della memoria e l’amarezza di ciò che non è stato si susseguono su una melodia a mezz’aria tra malinconia e incanto.

    Elettrica (Demotape): l’EP si chiude con una scarica di energia, un brano che celebra la libertà e l’istinto. Un pezzo diretto e vibrante, che lascia un senso di movimento e cambiamento.

    “Oltremare”, impreziosito dalla partecipazione dei talentuosi musicisti Marco Morabito, Luca Belotti, Francesco Dini e Valerio Baggio, fonde introspezione e carisma, confermando Ninfea come uno dei talenti più raffinati del panorama cantautorale contemporaneo. Ogni brano dell’EP racchiude un frammento di vita, un istante di crescita e consapevolezza, regalando all’ascoltatore la possibilità di rivedersi e riconoscersi. Non si tratta di un semplice concept, di un raccoglitore di tracce unite da un fil rouge, ma è qualcosa di diverso: è una direzione, una scelta, una nuova partenza.

  • “Non mi sono mai arreso”: DannyZ, il rapper che ha imparato a camminare due volte, e la forza di trasformare le difficoltà in musica

    Ci sono storie che non si spiegano, si attraversano. Storie che diventano musica, perché l’unico modo per farle arrivare lontano è scriverle nero su bianco, intrecciarle al ritmo, inciderle e dar loro un suono. DannyZ, lo sa bene. Nato prematuro di 25 settimane, ha trascorso l’infanzia tra interventi chirurgici, fisioterapia e tutori per imparare a camminare. Ogni passo, una conquista. Ogni metro in più, una sfida vinta. Oggi, a 20 anni, percorre chilometri a piedi senza mai fermarsi. Con i suoi tempi, ma ci arriva. E con la stessa mentalità affronta la musica. Il suo nuovo singolo, “Sempre Più Su”, non è il classico banger, è una dichiarazione. A se stesso, al pubblico, a chiunque abbia mai pensato di mollare.

    Difficilmente si può parlare di rap senza parlare di strada. DannyZ racconta la sua, fatta di ripartenze e ostacoli superati, con una direzione ben chiara. In “Sempre Più Su” canta: «Sto correndo su una linea fra’, non guardo giù. Tutto quello che cercavo ora è sempre in più. Non è un caso, sono sogni e notti svegli, ogni passo mi avvicina al mio successo». Non è retorica, è vita vissuta. Ogni singola barra è figlia di un’esperienza reale, il risultato di anni di lotta. “Sempre Più Su” non parla solo di lui, ma di tutti coloro che, davanti a un ostacolo, non lo aggirano: lo affrontano, lo superano, e vanno avanti.

    Per DannyZ, la disabilità non è mai stata un confine, ma un punto di partenza. E il suo percorso capovolge le convenzioni, aprendo una riflessione più ampia: quali sono i limiti che esistono davvero e quali, invece, sono solo il frutto di costrutti mentali? Quante persone, senza alcuna difficoltà fisica, rinunciano semplicemente perché non vedono risultati immediati?

    «Molte persone, senza alcun impedimento motorio o di altro tipo, mollano solo perché incontrano qualche battuta d’arresto e non vedono subito i risultati – dichiara l’artista -. Io no: anche se ci metto più tempo, arrivo fino in fondo. Questo è il mio messaggio.»

    Ed è proprio qui che “Sempre Più Su” smette di essere un semplice racconto personale e diventa una provocazione. Non è un brano sulla resilienza, è un invito all’azione. A non fermarsi, a spingersi oltre, a cambiare mentalità.

    L’infanzia e l’adolescenza di DannyZ sono state scandite da interventi, terapie e strumenti che lo hanno costretto a reimparare a camminare da zero. Nonostante piccoli problemi di equilibrio, oggi percorre lunghe tratte a piedi, con i suoi tempi, dimostrando che la determinazione è più forte di qualsiasi impedimento. “Sempre Più Su”, racconta proprio questo: lo switch mentale che separa chi si arrende da chi sceglie di andare avanti, perché non importa da dove parti, conta dove scegli di arrivare.

    «Da bambino camminavo sulle punte – racconta -, poi a 11 anni il primo intervento, i tutori, la fisioterapia fino ai 14. Ho dovuto reimparare a camminare, ma questo mi ha fatto rinascere. Oggi ho solo piccolissimi problemi di equilibrio, ma mi ritengo molto fortunato. Il limite è solo quello che scegli di vedere.»

    Il panorama urban italiano è saturo di racconti di rivalsa. Ma la storia di DannyZ ha una voce nuova, un peso diverso, perché non nasce da una formula, ma da un percorso reale, fatto di conquiste quotidiane. Dopo i singoli “Non Ti Riscriverò” e “Ricordi Bruciati”, il giovane artista capitolino si spinge in un territorio ancora poco esplorato nella scena: quello della crescita personale vissuta senza filtri.

    Non è un caso che le playlist dedicate alla motivazione e alla forza interiore stiano crescendo esponenzialmente sulle piattaforme di streaming: Spotify ha registrato un aumento del 30% nell’ascolto di brani a tema motivazionale negli ultimi due anni. Ma mentre tanti cantano la voglia di farcela, DannyZ lo dimostra.

    Ma il fenomeno non si ferma allo streaming. Sempre più giovani cercano modelli di ispirazione, figure in cui riconoscersi al di là degli stereotipi tradizionali. Sui social, i contenuti motivazionali stanno registrando una crescita esponenziale: su TikTok e Instagram, video che parlano di determinazione e crescita personale accumulano milioni di visualizzazioni, segno di un bisogno reale di messaggi concreti, che vadano oltre le frasi fatte.

    Allo stesso tempo, il percorso di DannyZ apre una questione cruciale: quanto spazio ha la narrazione della disabilità e della forza di volontà nella musica? Il rap, che è da sempre il genere della rivalsa, raramente affronta le difficoltà fisiche e il superamento dei propri limiti con questa prospettiva, ma ha tutte le carte in regola per farlo. DannyZ porta qualcosa di nuovo: non racconta solo il desiderio di farcela, ma il cammino effettivo di chi, ogni giorno, trasforma quelli che solitamente vengono considerati limiti in nuove traiettorie.

    Questa prospettiva lo distingue nel panorama italiano. Mentre tanti raccontano la strada, lui racconta la scalata personale, portando nel genere un punto di vista diverso, più intimo e concreto. Non è un dettaglio secondario, ma una chiave di lettura che rende la sua voce unica e necessaria.

    DannyZ non vuole essere visto come un’eccezione, né cerca compassione nel raccontare la sua storia. Il suo obiettivo è un altro: ispirare le persone ad andare oltre le difficoltà, indipendentemente da quali siano. Non un modello irraggiungibile, ma un esempio tangibile di come, con dedizione e tenacia, sia possibile dare il massimo e superare le proprie barriere, senza cercare scorciatoie o alibi.

     «Se posso farcela io, può farcela chiunque. La differenza non sta nelle difficoltà che affrontiamo, ma nella scelta di superarle.» – DannyZ

  • Quando l’amore stringe troppo, non è più amore: Mariateresa torna con “Maledetto Cuore”

    Non tutto ciò che chiamiamo amore lo è davvero. Mariateresa, la voce pantesca che ha già emozionato pubblico e critica con la sua finezza interpretativa, lo sa bene e nel suo nuovo singolo, “Maledetto Cuore”, ci regala un’istantanea di tutte quelle storie in cui il confine tra passione e possesso diventa pericolosamente sottile.

    Già presentato a Sanremo Giovani 2025 attraverso il percorso di Area Sanremo, il brano porta la firma della stessa Mariateresa, del cantautore e produttore Massimo Galfano e del maestro Giuseppe Denaro. Un trio di talenti siciliani che ha dato vita a una narrazione cruda e penetrante, in cui la musica si intreccia con la verità più scomoda dei sentimenti, restituendo un’immagine nitida e disillusa di ciò che accade quando l’amore smette di essere luce per trasformarsi in ombra.

    «Maledettissimo amore, maledettissimo cuore. Io che ho creduto in questo amore», un verso che incide come una ferita aperta, lasciata da una relazione tossica, dominata dal controllo e dalla dipendenza emotiva, con un lui descritto come un principe estroverso, misterioso e benestante, che trattiene la sua lei in una prigione dorata, ma pur sempre una prigione.

    «L’amore non può essere catene, né compromessi soffocanti – dichiara Mariateresa -. Deve essere scelta, fiducia, respiro. Ho voluto raccontare il momento esatto in cui una persona prende coscienza di questo e decide di riprendersi la propria libertà.»

    Dopo aver conquistato una lunga serie di recensioni e feedback positivi dalle principali testate di settore con il precedente singolo “Strada Vuota”, rimanendo stabilmente nelle classifiche italiane e indipendenti fino a entrare nella Top 10 pop/rock, Mariateresa si conferma con “Maledetto Cuore” tra le voci più eleganti ed espressive della nuova scena italiana femminile. La sua presenza alla prima edizione del Festival Internazionale Voci dal Mediterraneo di Pantelleria, dove ha ottenuto il terzo posto nella categoria inediti, e le apparizioni su Rai 2 e Rai Radio 2 hanno reso evidente il suo crescente impatto sul panorama musicale che guarda al futuro.

    Con questa traccia, l’artista va ben oltre il racconto di una storia, una storia personale in cui è facile identificarsi, accendendo una riflessione su quei rapporti che si mascherano da amore, ma che in realtà feriscono e consumano, lasciando dietro sé lividi, macerie e un profondo senso di vuoto. Un tema che oggi assume un peso ancora più rilevante, in un’epoca in cui si parla sempre di più di relazioni tossiche e della difficoltà di riconoscerle prima che sia troppo tardi.

    «Vorrei che chi ascolta questa canzone trovi la forza di chiedersi: “sto vivendo un amore che mi rende felice o che mi imprigiona?” – conclude l’artista -. A volte si rimane intrappolati in dinamiche che sembrano normali, ma che logorano lentamente. Se anche solo una persona, ascoltando questo brano, troverà il coraggio di guardare la propria storia con occhi diversi, allora avrò dato un senso a questo pezzo.»

    “Maledetto Cuore”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto dalla Eventi e Management Italia, è un brano che si insinua sottopelle, che si fa ascoltare e rileggere più volte, perché nella sua narrazione non c’è solo l’esperienza della sua interprete, ma un frammento di vita condivisa da molti. Ma soprattutto, è un promemoria necessario: l’amore non è possesso, e chi ama davvero non trattiene, ma lascia libero.


  • Il 40% degli adolescenti italiani crede ancora nei vecchi ruoli di genere: Luca Fiocca spiega perché

    Un architetto innamorato dell’arte e della cultura, uno scrittore che racconta con ironia e intelligenza il mondo delle relazioni interpersonali: Luca Fiocca è tutto questo e molto di più. Il 2 aprile 2025, in occasione del trecentesimo anniversario della nascita di Giacomo Casanova, verrà presentato ufficialmente il suo saggio “Se è tortora all’acqua torna”, un compendio semiserio che affronta con acume e leggerezza il tema della seduzione contemporanea. La data coincide con il lancio internazionale dell’edizione in lingua inglese, “If It Is Turtledove To Water Back”, segnando un nuovo traguardo per un progetto che sta già catalizzando l’attenzione del pubblico e dei media.

    Quella di Fiocca è un’idea che lo stesso definisce essere “nata dal disagio del maschio contemporaneo”. Il saggio prende spunto da una realtà che in pochi osano raccontare: il maschio latino, un tempo emblema di sicurezza e fascino, oggi sembra attraversare una crisi. I dati di un recente studio condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (2020) ha rivelato che il 40% degli adolescenti italiani ritiene ancora che debba essere l’uomo a mantenere la famiglia, e un maschio su quattro pensa che l’uomo debba comandare in casa.

    Questi dati allarmanti dimostrano come stereotipi di genere persistano tra i giovani, evidenziando non solo il riflesso di una mentalità anacronistica, ma anche un ritardo culturale preoccupante, che ostacola una visione più equilibrata e paritaria delle relazioni tra uomini e donne.

    La situazione si presenta anche nelle dinamiche relazionali degli adulti. Un’indagine condotta da Ipsos per Save The Children nello stesso anno, ha evidenziato come questa realtà stereotipata influenzi le opinioni e i comportamenti degli adolescenti italiani, con una significativa porzione che associa determinati comportamenti e capacità emotive al genere femminile, mentre le competenze logiche e assertive vengono percepite come più equamente distribuite tra i generi. Questa rigidità nei ruoli può portare a difficoltà nelle relazioni interpersonali, rendendo la seduzione un’arte da riscoprire con nuove regole e una sensibilità aggiornata ai tempi moderni.

    Una visione che contribuisce a una crescente timidezza e mancanza di iniziativa nelle dinamiche sentimentali e sociali.

    Anche la star internazionale Charlize Theron ha recentemente evidenziato questa problematica con una dichiarazione che ha fatto discutere: “Sono single da dieci anni. Qualcuno dovrebbe farsi avanti! Sono scandalosamente disponibile”. Un’affermazione che, più che un caso personale, sembra un sintomo di un cambiamento epocale nelle dinamiche di coppia: se anche un personaggio iconico e di spicco come lei, riconosciuta a livello globale come una delle donne più belle, eleganti e sensuali fatica a trovare uomini disposti a prendere l’iniziativa, è evidente che qualcosa nel modello maschile tradizionale si sia incrinato.

    È proprio in questo contesto che “Se è tortora all’acqua torna” si inserisce con lucidità e ironia: non un manuale di seduzione nel senso classico, ma un invito a riscoprire l’incontro nella sua accezione più autentica e pura, oltre gli stereotipi, con sensibilità, consapevolezza ed una prospettiva fortemente inclusiva.

    Luca Fiocca non è solo un teorico della seduzione, ma un vero interprete del suo tempo. Durante la recente Milano Fashion Week, ha collaborato con la stilista Carmela Luciani e il sarto Geza Berez di Dress Meand You nell’iniziativa benefica collegata all’evento “Fashion for Good” – diretto da Alex Belli e condotto da Marianna Miceli di Mad Mood Milano -, presentando uno show e contribuendo alla donazione di 20 parrucche all’ospedale Humanitas. Un gesto che unisce il mondo dell’apparenza a quello dell’essenza, sottolineando il valore della bellezza, nel suo significato più intimo e nobile, anche in contesti di difficoltà e sofferenza.

    La riflessione di Fiocca ha già conquistato i media italiani. Per sei mesi, Novella 2000 ha dedicato una rubrica settimanale al suo saggio, con articoli che spaziano dai consigli pratici alle analisi psicologiche dell’arte della conquista. Gianni Ippoliti ha dedicato un siparietto su Rai 1 nella sua rassegna stampa di Uno Mattina in Famiglia, consacrando il manuale come un caso editoriale capace di unire cultura pop e ricerca sociologica.

    L’idea alla base del titolo del saggio è profondamente radicata nella cultura salentina: la tortora che torna all’acqua simboleggia il ritorno di un amore autentico, un legame che supera le difficoltà e ritrova la sua strada. L’antico detto della Terra d’Otranto, “Ci è tòrtura all’acqua li tocca”, descrive proprio questo: una tortora che, per istinto, torna sempre alla sua fonte, così un sentimento sincero valica ostacoli e distanze. Questo concetto si trasforma ora in un vero e proprio brand, con il lancio di una linea di t-shirt che riportano la frase sia in italiano che in inglese, “If It Is Turtledove To Water Back”. Un gioco dal significato importante, tra passato e modernità, che conferma il desiderio di Fiocca di rendere il suo messaggio qualcosa di tangibile e quotidiano.

    Perché la seduzione non è solo un’arte del linguaggio, ma anche un modo di porsi nel mondo, di esprimere un’identità. Ed è qui che entra in gioco Palascia, il marchio di occhiali interamente made in Salento, nato per raccontare tradizione, artigianalità e carattere. Disegnato da Margherita Plenilunio, che con il marito Valerio Furone guida F & P OcchialiPalascia rappresenta un’idea di eleganza che affonda le sue radici nella cultura salentina, esattamente come il libro di Fiocca.

    L’evento di presentazione del 2 aprile sarà solo il primo passo di un percorso di approfondimento su un tema che continua a evolversi con la società. Luca Fiocca non si limita a scrivere: con la sua capacità di osservare e reinterpretare la realtà con eleganza e ironia, sta costruendo un nuovo modo di parlare d’amore e di relazioni, adattandosi perfettamente ai cambiamenti sociali e alla sensibilità del pubblico contemporaneo. La sua figura si delinea come un vero e proprio punto di riferimento per chiunque voglia comprendere e vivere con stile l’arte dell’incontro.

    «In un mondo in cui l’amore sembra aver perso la leggerezza del gioco e la profondità del sentimento, ritrovare il coraggio di guardarsi negli occhi è il primo passo per riscoprirsi.» Luca Fiocca.