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  • “Il primo bacio sulla Luna” di Marino Alberti, un brano che parla del coraggio di essere leggibili e non enigmatici

    Negli ultimi mesi linguisti, psicologi e analisti del digitale stanno segnalando la stessa tendenza: nelle relazioni ci si parla molto, ma ci si dice poco. Le frasi arrivano tardi, le intenzioni vengono diluite, la chiarezza viene rimandata. È un comportamento che attraversa tutte le fasce d’età, con un impatto ancora più evidente nelle generazioni cresciute dentro la comunicazione continua.

    Nelle analisi più recenti sul modo in cui ci si relaziona, dalla gestione dei messaggi alla cautela nel dichiarare le intenzioni, molti studiosi stanno descrivendo una difficoltà crescente nell’esprimere i propri sentimenti. Una dinamica trasversale, che attraversa contesti e fasce d’età diverse e che molti considerano uno dei tratti distintivi della comunicazione contemporanea.

    In questo quadro si inserisce “Il primo bacio sulla Luna“, il nuovo singolo di Marino Alberti, cantautore e polistrumentista con oltre 2,5 milioni di stream, una carriera costruita su palchi di primo piano e collaborazioni di livello nazionale e internazionale (PFM, Loredana Bertè, Patty Pravo, Emma Marrone, Faso, Lewie Allen, Riccardo Kosmos).

    Il brano non tratta l’innamoramento di per sé, ma il momento in cui una persona decide di non muoversi più attorno alle proprie difese e sceglie di raccontarsi all’altro in totale trasparenza. Una scelta naturale solo a livello logico, ma che nella pratica di oggi raramente lo è.

    La scena da cui parte il pezzo – un bacio “sulla Luna”, lontano dalle cautele che regolano molti rapporti – non è un espediente, ma il modo di raccontare cosa avviene quando si interrompe l’abitudine a lasciare tutto in pausa e ci si assume il rischio di essere leggibili, chiari prima di tutto con sé stessi e poi con l’altro. Allo stesso modo, il verso portante, «Non c’è mistero se quello che provi è vero», contiene l’intero orientamento del brano. È un’affermazione controcorrente in un tempo che spesso premia la distanza come forma di autodifesa e considera la trasparenza un’esposizione eccessiva.

    La scelta della Luna, che nella cultura popolare è sempre stata un luogo di proiezione, traccia una dimensione in cui convivono promesse, sentimenti e possibilità. Fin dall’antichità, arrivando ai giorni nostri passando dall’allunaggio, la luna simboleggia tutto ciò che sembra irraggiungibile finché qualcuno non decide di oltrepassarlo.

    In questo brano, la sua funzione emblematica coincide con un altro importante aspetto, quello della sottrazione volontaria alle corazze che quotidianamente indossiamo per difenderci dal mondo. La luna diventa lo spazio dove le frasi non devono attendere il momento ideale per essere pronunciate, il luogo in cui l’incertezza smette di filtrare ciò che si prova davvero.

    La scrittura di Alberti entra in questo discorso in modo diretto, delineando un partner che non viene idealizzato né proiettato, ma percepito come figura quotidiana, riconoscibile, fatta di dettagli, esitazioni, singolarità che lo rendono prezioso senza mitizzazioni.

    Nel testo compaiono elementi che Marino utilizza per definire un contesto – crateri, ricami sui muri, la luna cucita sul petto –, volti a descrivere una generazione che alterna slanci immediati a ritirate improvvise, che chiede chiarezza e allo stesso tempo fatica a sostenerla.

    Tra essenzialità, attenzione al dettaglio e un arrangiamento che accompagna le parole del testo, “Il primo bacio sulla Luna” è un passo ulteriore in un percorso che negli ultimi anni ha mostrato una maturazione evidente, anche nel modo in cui Alberti inserisce la propria scrittura dentro il modo in cui oggi si ragiona sulle relazioni.

    Il brano anticipa nuove tappe del progetto discografico dell’artista, che proseguirà seguendo la stessa direzione: guardare le ombre, i tentativi di chiarezza, il continuo equilibrio tra bisogno di proteggersi e desiderio di essere compresi.

    “Il primo bacio sulla Luna”, porta l’ascoltatore a riflettere su un sentimento che potrebbe nascere se si smettesse di tenerlo prigioniero di insicurezze e retaggi culturali. Nel dibattito attuale sulle forme di comunicazione affettiva, offre un punto d’osservazione che coincide con molte analisi: il momento in cui la cautela smette di essere protezione e diventa distanza.

  • Due sconosciuti che ballano coi piedi sul muro: la scena più iconica di “Gelato alla Crema” di Marino Alberti

    C’è una scena, dentro “Gelato alla Crema”, che potrebbe sintetizzare un’intera filmografia: due sconosciuti che ballano con i piedi sul muro. Un’immagine quasi surreale, in cui la tenerezza è destabilizzante e l’equilibrio si perde per scelta. Con questo nuovo singolo, apripista del secondo album di inediti “300 KM/H“, Marino Alberti – cantautore e polistrumentista da oltre 2,5 milioni di stream – torna con un controcanto volutamente disarmato, che racconta la vertigine di ciò che finisce prima ancora di iniziare.

    Oggi, persino l’amore sembra avere una scadenza. Deve essere immediato, performante, risolutivo, “Gelato alla Crema” ha quel sapore un po’ rétro e un po’ da film d’autore, descrivendo un incontro che non ti aspetti, di quelli che restano sulla pelle più del previsto. Le “parole al limone” – così le definisce Alberti nel brano -, sono dissonanti ma complementari: il lato pungente della dolcezza, l’acidità che bilancia l’istinto. Un retrogusto dolce-amaro di ciò che passa in fretta ma non se ne va davvero.

    Il gelato rassicura, come quei baci che scaldano solo per un istante, ma poi svaniscono nel nulla. Il limone, invece, pizzica la bocca: è una verità detta con il sorriso. Non è la classica relazione, è più una collisione. Lei entra in scena senza chiedere permesso, lo guarda, e lui si sente improvvisamente fuori posto. E forse, proprio per questo, si innamora.

    La protagonista è una donna che arriva come un temporale estivo: elegante, ironica, imprevedibile. Cammina come se la città fosse una passerella, parla come se fosse cresciuta in una poesia. Lui, invece, è uno che sente troppo. Si incontrano, si sfiorano, si lasciano andare. E poi ballano, letteralmente con i piedi sul muro. Un modo per dire che, quando l’amore arriva, si perde l’equilibrio e questo non è solo romantico, è scomodo. È una visuale privilegiata dall’alto, dalla quale sì, si vede tutto meglio, ma può far venire il capogiro.

    La tenerezza diventa una forma di squilibrio. Perché il sentimento, quando arriva, scombina. Ti solleva da terra, ma può anche lasciarti senza appigli.

    E proprio quando sembra poter cominciare, lei sparisce. Nessun addio, nessuna spiegazione. Solo una frase lasciata nel cappotto e l’eco di qualcosa che avrebbe potuto essere.

    «Non tutte le persone che incontriamo sono destinate a restare nella nostra vita, e non tutte quelle che restano, ti cambiano – dichiara l’artista -. A volte è l’incontro che conta, non la durata. A volte l’innamoramento non ha il tempo per diventare amore.»

    Con “Gelato alla Crema”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Nicola “G Man” Togni, Marino Alberti racconta un tema che oggi è tutto fuorché marginale: l’innamoramento che non si trasforma in relazione. Una traiettoria spezzata, ma non per questo meno significativa.

    Non è un caso se molti giovani vivono oggi una crisi dei “situationship”: secondo un reportage pubblicato dal Wall Street Journal (Aprile 2025), queste relazioni ambigue ‒ né totalmente spensierate né realmente impegnate ‒ stanno stancando una generazione alla ricerca di connessioni più stabili. Al tempo stesso, numerose ricerche internazionali evidenziano come un numero sempre più crescente di giovani tra i 18 e i 30 anni tenda a dare più valore a rapporti brevi e intensi, piuttosto che a storie lunghe e abitudinarie.
    “Gelato alla Crema” si inserisce con naturalezza in questa fotografia generazionale: perché se la durata non è più il parametro principale, allora diventa centrale l’impatto. E questa canzone è un impatto.

    «Tante volte ho pensato: se l’avessi amata di meno, forse l’avrei capita di più – conclude Alberti -. Ma certi amori si leggono come poesie: solo quando non ci sono più.»

    “Gelato alla Crema” è tutta qui, in questa dichiarazione: una storia che non ha bisogno di compiersi per essere ricordata. Una canzone che parla d’amore, sì. Ma senza promesse, senza esiti. Un frammento di vita che non cerca interpretazioni, solo il tempo per sedimentarsi. Una scena d’autore che lascia un sapore preciso in bocca, un’immagine da custodire, che resta anche dopo lo scatto.

    Il brano, prodotto dallo stesso artista con un arrangiamento essenziale ma raffinato, cede spazio alle parole senza mai appiattirle. La scrittura è asciutta, ma densa. Ironica, ma mai cinica. Ricorda a tratti il miglior cantautorato pop degli anni ’90, ma senza nostalgia: c’è un presente, qui, che prende corpo sottotraccia, parola per parola.

    E se oggi l’amore tende a sfumare prima ancora di definirsi, “Gelato alla Crema” non cerca di ricucire lo strappo: lo osserva. Sceglie di non concludere. Resta lì, come certi sguardi tra sconosciuti: brevi, intensi, eppure difficili da dimenticare.

  • Chi aspetta ama due volte: Marino Alberti lo racconta in “Ho Aspettato”

    Ha calcato i palchi con Loredana Bertè, Emma Marrone, P.F.M. e Patty Pravo. Ha firmato brani prodotti con musicisti di livello internazionale come Faso (Elio e le Storie Tese), Lewie Allen (Sam Smith, Elton John) e Riccardo Kosmos (Achille Lauro). Oggi, dopo oltre 2,5 milioni di stream accumulati con i suoi ultimi lavori, Marino Alberti torna con un nuovo singolo che non celebra l’amore, ma lo mette in pausa. “Ho Aspettato” è una ballata sospesa, delicata e tagliente al tempo stesso, che racconta l’amore atteso, idealizzato, proibito – quello che, pur non accadendo, resta addosso e si sedimenta più di qualsiasi storia vissuta.

    Una canzone che non si concentra sul sentimento dichiarato, ma su quello trattenuto, inespresso. Che non parla di relazioni concluse, ma di quelle rimaste irrisolte, consumate solo in parte. Un brano che punta dritto a una domanda che molti evitano: quanto tempo possiamo restare fermi ad aspettare un ideale di amore che forse non arriverà mai?

    Una narrazione che si lega a un vissuto comune e trasversale: quello di chi, in un’epoca iperconnessa, si sente più solo che mai. L’amore come antidoto alla solitudine, che si proietta sull’altra persona, anche senza conoscerla davvero.

    Una forma di attesa silenziosa che, nella frenesia contemporanea, appare quasi paradossale, ma trova riscontro nei dati più recenti. Secondo l’Istat, infatti, oltre il 45% degli italiani tra i 30 e i 50 anni ha dichiarato di aver vissuto almeno una relazione immaginata o idealizzata, spesso mai concretizzata. Una tendenza che racconta molto del nostro tempo: connessioni sempre più virtuali, sempre più incerte, dove si finisce per amare un’idea più che una persona.

    In un periodo storico in cui anche pulsioni ed emozioni passano attraverso chat effimere e fantasie digitali, “Ho Aspettato” si interroga su quanto siamo ancora disposti a restare — anche da soli — davanti alla porta di un amore che non bussa.

    È in questo contesto che “Ho Aspettato” diventa un documento, uno spaccato attualissimo. Una voce fuori campo che non vuole e non pretende di spiegare, ma sceglie di dare spazio a ciò che spesso resta relegato ai margini: amori imperfetti, incompleti, non ricambiati. Non cerca di risolvere il paradosso, ma lo nomina. Lo attraversa, lo canta. E nel farlo, restituisce dignità a quell’amore “minore”, troppo spesso ignorato perché a senso unico.

    «Aspettare è una forma di amore che nessuno celebra – dichiara l’artista –. Non volevo raccontare una storia riuscita, perché quelle si raccontano da sole. Volevo volgere lo sguardo a chi ha aspettato in silenzio, amando senza sapere se sarebbe mai bastato. Forse è questo l’amore che ci segna di più: quello costruito nella mente e vissuto nel cuore, senza mai riuscire a portarlo alla luce. Un amore che non si chiude, che resta aperto. E forse, proprio per questo, insegna tanto, su di noi e sulla nostra capacità di donare senza chiedere nulla in cambio.»

    La produzione, firmata dallo stesso Alberti, conserva l’essenzialità di un brano scritto con pudore e urgenza. Una melodia circolare, che gira intorno a poche parole, a pochi accordi, come se lo scorrere del pezzo volesse imitare quello dell’attesa: lento, reiterato, sospeso.

    Da qui nasce anche il senso del testo, un testo per chi ha amato, ama o amerà. Un testo che non cerca di compiacere, di offrire risposte o verità assolute, ma accompagna. E in un tempo che chiede sempre certezze immediate, accettare l’incertezza è già una forma di libertà.

    Una canzone per chi ha amato in silenzio, per chi ha rimandato, per chi ha tenuto acceso un sentimento senza sapere se avrebbe mai avuto un seguito. Per chi ha cercato amore vero e non solo idealizzato. Per chi ha voluto credere, pur sapendo.

    Con questo nuovo progetto, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Nicola “G. Man” Togni, Marino Alberti si conferma tra i cantautori italiani più attenti a ciò che accade dentro e fuori le canzoni.

    «La vita è un battito e non bisogna mai aspettare – conclude -. Ma una sola cosa al mondo vale davvero la pena di essere aspettata. L’Amore.»

    “Ho Aspettato” ci invita a riconoscere il valore delle attese, anche quando sembrano inutili. Perché, in fondo, tutti siamo stati lì: a sperare, a proiettare, a inseguire un sentimento che forse era solo nella nostra mente, ma che ci ha fatto sentire vivi.