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  • Quando il rap incontra la psicologia dei social: DannyZ racconta il dolore invisibile

    Un telefono che vibra, lo schermo che si illumina, la notifica che speri abbia un nome preciso. Ma poi non è mai quella che stai aspettando.

    È da qui che parte “Non Hai Più Scritto”, il nuovo singolo di DannyZ, 20enne romano già noto per una storia personale che avrebbe fatto comodo romanzare — ma che lui ha sempre trattato con una distanza chirurgica.

    Stavolta, però, l’artista non parla nemmeno di sé. O almeno, non solo. Il brano nasce infatti da decine di messaggi ricevuti su Instagram: racconti di amori finiti, di ex che continuano ad abitare i pensieri, di fotografie salvate per non dimenticare. Poi, silenzi improvvisi, chat rimaste mute. DannyZ li ha letti, custoditi, e ne ha fatto una canzone. Una canzone letteralmente scritta partendo dai DM dei suoi follower. Non per spiegare. Ma per restituire una sensazione precisa: quella di una conversazione ancora aperta, che nessuno ha il coraggio di chiudere davvero.

    Nell’attuale scena urban è sempre più comune farsi notare alzando la voce, mostrandosi invincibili, raccontando conquiste. DannyZ fa il contrario: abbassa il tono. Il brano sta tutto lì: in versi che non spiegano, ma che riconosci. Frasi che parlano di ghosting, di quanto l’assenza di spiegazioni sia diventata consuetudine. Una sospensione che destabilizza e resta addosso come un nodo.

    Non ci sono metafore, nessun eroe e nessuna morale: solo la realtà di uno scambio ancora aperto, senza risposta. Una storia che non trova conclusione effettiva, scritta senza pietà né dramma. Una pagina che nessuno ha chiuso.

    Quella raccontata dall’artista non è una dinamica sporadica, ma una delle nuove forme di rottura affettiva più diffuse tra adolescenti e giovani adulti. Il ghosting come fenomeno sociale, spia di un’epoca iperconnessa che spesso evita il confronto diretto, e normalizzato al punto da non sorprendere più nessuno. Al punto da parlarne quasi sempre con superficialità, come se fosse un dettaglio trascurabile.

    Ma i numeri raccontano altro.

    Uno studio del 2023 pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships, segnala che oltre il 65% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni ha vissuto almeno una volta un’esperienza di ghosting. Le conseguenze? Frustrazione, calo dell’autostima, difficoltà a fidarsi. Di sé e dell’altro. Ferite silenziose – e silenziate – che spesso non trovano un linguaggio per essere dette.

    In questo contesto, “Non Hai Più Scritto” è la fotografia asciutta e musicale di ciò che succede ogni giorno — e che raramente viene raccontato. Per pudore. Per paura di sembrare deboli in una società che sembra volerci sempre forti, performanti. E che ci chiede di archiviare tutto in fretta, anche ciò che non è stato davvero metabolizzato, superato, chiuso. O semplicemente, perché certe mancanze, anche se fanno male, non sembrano abbastanza importanti da meritarsi una narrazione.

    «Questo brano l’ho scritto a partire dai messaggi che i miei fan mi hanno mandato nei DM: storie di relazioni finite, di ex che restano nella testa anche dopo mesi, di attese che fanno soffrire – dichiara DannyZ -. Dentro ci ho messo anche un pezzo della mia vita. Credo che ognuno, ascoltandola, possa dare a questa canzone un nome e un cognome.»

    Nelle barre si percepisce lo stesso approccio netto che ha contraddistinto i brani precedenti: non compiacere, ma raccontare. Non ostentare, ma mettere in luce la realtà per quella che è.

    Un percorso coerente che riconferma l’artista capitolino come una voce riconoscibile nel panorama urban italiano: dalla sua vicenda personale di disabilità fisica trasformata in determinazione – che lo ha portato ad essere definito dalla stampa “il rapper che ha imparato a camminare due volte” -, fino al racconto delle difficoltà sociali, personali, sentimentali ed emotive condivise da migliaia di coetanei.

    “Non Hai Più scritto” è un pezzo che funziona non perché è profondo, ma perché non cerca di esserlo. Non c’è strategia, non c’è climax, non c’è redenzione. C’è solo un dato di fatto: molte relazioni, oggi, finiscono in silenzio. E quel silenzio fa rumore dentro.

    Non è il solito sfogo personale.
    Parla anche di chi lo ascolta, non solo di chi lo ha scritto.
    E soprattutto, mostra qualcosa che succede tutti i giorni: le chat che si spengono, i legami che si sciolgono senza dire niente, le emozioni che vengono raccontate prima a un artista in DM che a uno psicologo in studio.
    E forse è proprio questo il punto.

    «Scrivere questa canzone è stato come lasciare aperta una chat che in realtà si è chiusa da tempo. È il modo che ho trovato per dire che certe attese non finiscono mai davvero, ma si trasformano in musica. E forse, proprio ascoltandole, troviamo anche il coraggio di voltare definitivamente pagina.» – DannyZ

  • Roma lo conosce già, ora è il momento di ascoltarlo davvero: DannyZ torna con “Tutto mio”

    C’è chi rappa per moda, chi per sfogo, e poi c’è chi lo fa perché non ha altra scelta. DannyZ, classe 2004, non è mai stato il tipo da scorciatoie. Quando a 11 anni gli hanno detto che avrebbe dovuto reimparare a camminare, non ha chiesto quanto ci avrebbe messo. Ha abbassato la testa e ha iniziato. Passo dopo passo, terapia dopo terapia. E ora che ha imparato a stare in piedi, “a camminare due volte”, nessuno lo farà più sedere.

    Così lo hanno definito giornali, radio e tv.
    “Il rapper che ha imparato a camminare due volte.”
    Un appellativo che non è solo una formula riuscita, ma una verità che ha fatto il giro dei media e si è fatta strada tra un pubblico sempre più vasto.
    Perché la storia di DannyZ – romano, cresciuto tra tutori e fisioterapia – è una di quelle che non si dimenticano, se la ascolti davvero. E ogni volta che torna, non lo fa per occupare spazio. Lo fa per guadagnarselo.

    Con “Tutto mio”, il suo nuovo singolo disponibile in tutti i digital store, DannyZ non bussa. Entra. E lo fa con il peso di chi ha qualcosa da dire. Il suo è un rap che cerca conferme, le brucia. Un rap che non è alla ricerca di consensi: li affronta di petto e li mette da parte.

    Dopo “Sempre Più Su”, brano che raccontava il suo percorso fisico e interiore come un campo di battaglia, il giovane artista capitolino torna con un pezzo viscerale, diretto, privo di alibi. Un pezzo che non fa sconti, che non ha paura di dire le cose come stanno. E in cui ogni rima pesa quanto un metro di asfalto percorso a fatica. È il suono di chi ha mangiato amaro, e ora si prende tutto. Senza chiedere permesso.

    Nelle barre di “Tutto mio”, DannyZ mette in chiaro da che parte sta:

    «Non voglio il flex, voglio il rispetto»

    Non si tratta di uno slogan ben costruito, ma di una sorta di mantra, da tenere stretto per affermarlo in faccia al mondo. Una linea netta tra chi ostenta e chi resiste. Un confine tracciato a voce ferma, quando tutto intorno ci ha abituati a far rumore per non dire niente. Perché certe frasi non basta scriverle: succedono. E quando succedono, non hanno bisogno di spiegazioni.

    Nato prematuro a 25 settimane, cresciuto tra corsie d’ospedale, tutori e fisioterapia, DannyZ ha fatto del suo corpo una prova vivente di volontà. Ogni movimento che oggi riesce a compiere è frutto di fatica, e ogni sua release porta il segno di quella strada.

    La disabilità non è un tema che “affronta”: è parte della sua storia. Non la esibisce, non la nasconde. Fa quello che tutti dovremmo imparare a fare: viverla con naturalezza, senza trasformarla in un’etichetta. E fa anche ciò che molti evitano: la tratta per quello che è — una parte di sé, non la sua definizione.

    In “Tutto mio” non c’è l’ostentazione, né il bisogno di compiacere. Non è rap d’intrattenimento.
    Non ci sono catene d’oro, solo catene spezzate.
    Non c’è bling bling, ma cicatrici esibite allo stesso modo, come medaglie.

    C’è rabbia, sì. Ma non quella sterile.
    È lucidissima, pulita, necessaria.

    Il beat spinge, ma è la voce che comanda: cruda, vissuta, mai artefatta.

    Nelle barre c’è fame. Ma non di hype, fame vera. Di riscatto, di concretezza, di verità.

    «Non cerco flash, non cerco gloria.
    Voglio che il mio nome resti nella storia.»

    Non è un’ambizione da rotocalco: è la voce di chi ha scelto di restare in piedi, anche quando sarebbe stato molto più semplice sedersi e lasciarsi andare — e lo ha fatto con il doppio della fatica degli altri.
    Di chi scrive ogni singola parola sul terreno che ha già calpestato.
    E che ora pretende solo una cosa: essere ascoltato per ciò che è, non per ciò che appare.

    In una scena dove l’immagine pesa più della parola, DannyZ rallenta e mette a fuoco.
    Ricorda che il rispetto non si compra, si guadagna.
    Che i like non valgono una mano tesa, uno sguardo sincero, qualcuno che resta quando gli altri spariscono.
    E che essere se stessi – oggi – è forse l’atto più street e rivoluzionario che ci sia.

    “Tutto mio” è una pagina. Ma non di quelle scritte al computer: di quelle scritte sulle ossa. Di quelle che raccontano chi siamo stati e tracciano la traiettoria verso chi vogliamo diventare. È un pezzo che non cerca lacrime né applausi, ma vuole solo farsi sentire da chi è disposto ad ascoltare. Perché chi ha imparato a camminare due volte non ha più paura di inciampare.